Il sacrificio di Dioniso
Lettere da Bisanzio
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Nel Vangelo Gesù proclama di essere la Vera Vite, ricorda Elémire Zolla nel grande saggio premesso a I dionisiaci, l'antologia che uscirà tra pochi giorni per Einaudi e che riprende nel titolo le Dionisiache del bizantino Nonno, autore anche della Parafrasi al Vangelo di Giovanni. Gli apostoli debbono attaccarsi a Gesù come grappoli al livido (Giovanni 15,2). Nella parabola degli operai (Matteo 20,4-7) la vigna diventa metafora della Chiesa. Il primo miracolo cristiano è a Cana ed è la trasformazione dell’acqua in vino, un miracolo dionisiaco. Per i fedeli della minuscola setta ebraica, che rinunciando alla Legge si è aperta a tutti i popoli, il vino è simbolo del sangue sacrificale di Cristo così come per i pagani lo è di quello di Dioniso.
Nel II secolo il filosofo e protomartire Giustino osservò che l’unico elemento esclusivamente cristiano di quel sacrificio era la crocifissione: la morte di Cristo era avvenuta sulla croce, quella di Dionisio durante il pasto selvaggio in cui le mènadi lo avevano smembrato. Eppure c’è un’eco di questo smembramento nella spartizione di corpo e sangue tra i fedeli del banchetto (agàpe) che è la messa? Nei primi tempi, l'eucarestia si impartiva a gente digiuna: il sorso del vino, simbolo del sangue di Cristo, era sufficiente a dare ebbrezza. E ai primordi cristiani i naasseni samaritani mescolavano al pane eucaristico mandragola allucinogena.
Tu, puer aeternus chiamava Ovidio Dioniso. Che il culto di Cristo abbia con quello dionisiaco un’affinità prodigiosa è chiaro già a San Paolo: che cosa porta a credere? esclusivamente la resurrezione. Dioniso era risorto tre volte. Dopo morto Gesù scese nello Sceòl come Dioniso nell’Ade. In cielo, siede alla destra del Padre come Dioniso alla destra di Zeus. Con la vittoria cristiana, dalla fine del mondo antico sparirono gli elementi esteriori della religiosità dionisiaca: la percezione dell'identità di tragedia e commedia, l’identificazione con la vita animale e vegetale, la comunione alchemica con la sostanza minerale. Sparì, con i suoi rischi e deliri, la libertà totale che il dio concedeva: Libero era un altro dei suoi epiteti. Il concilio ecumenico del 682 proibì cortei, mascherate, acclamazioni bacchiche, ma Paolo Silenziario sulle rive del Bosforo ancora brindava a Lièo, «che scaccia i pensieri nefasti». L’imperatore di Bisanzio continuò a offrire al Patriarca il primo grappolo reciso. Il dionisismo si mantenne nel Carnevale, volente o nolente la Chiesa, che ammetteva però come feste come il Risus paschalis. Per lo più, il culto di Dionisio s’inabissò in forme sotterranee, esoteriche. Zolla segnala nell’abbazia di Plaincourt, in Francia, un affresco che raffigura Adamo ed Eva con ai lati, quale albero del bene e del male o della vita, un'immensa Amanita muscaria, il fungo allucinogeno al quale già l'India, fonte prima del paganesimo greco, aveva dato statuto di divinità, perché garantiva la possibilità dell’estasi. La successiva ipostasi del Soma dell'India vedica fu Shiva. Con lui identificarono Dioniso i soIdati di Alessandro Magno.
La più evidente prova della sopravvivenza di Dioniso nel Medioevo è però letteraria e si incontra a Bisanzio. Nel IV secolo Gregorio di Nazianzo aveva scritto: «Ecco, Gesù nuovamente è qui e insieme a lui è qui un mistero. Ma non è più il mistero dell’ebbrezza, è un mistero che proviene dall'alto, un mistero divino»; frase in cui si può ravvisare una reminiscenza del Fedro platonico: «La mania è superiore alla mente sana, la quale ha un'origine puramente umana, mentre quella l'ha divina» (244d). Forse per questa ed altre affermazioni fu in seguito attribuito a Nazianzeno il dramma Christos paschon, pieno di citazioni dalle Baccanti di Euripide, in cui Gesù è identificato col re Penteo, ucciso dalle mènadi così come Cristo fu sacrificato in false vesti da re. Anche se il nesso Dioniso/Gesù è tracciato apertamente da Padri della Chiesa come i Cappàdoci, l’attribuzione a Nazianzeno è apparsa errata e il centone euripideo ben più tardo nel IV secolo. Risale forse al IX, l'età del rifiorire della mistica, della musica e, forse, del teatro alla corte di Costantinopoli; l'età che è detta della Prima Rinascenza.