Silvia Ronchey

Benvenuti nel mio sito personale
  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio

Articoli

  • Noi e gli antichi
  • Noi e Bisanzio
  • James Hillman
  • Religione, teologia, mistica
  • Interviste
  • Attualità e rubriche
Attualità e rubriche

Il paradosso della santa follia

Lettere da Bisanzio

27/05/1999 Silvia Ronchey

Articolo disponibile in PDF

Scarica il pdf (10427 Kbs)

Avvenire

Secondo Teodoro Prodro­mo, poeta maledetto del millecento, i costantinopolitani sono tutti o artisti o brigan­ti. Quando Stevenson, alla fine del milleottocento, parti per New York, i compagni di viaggio lo avvisarono di non rispondere a nessuno che lo apostrofasse per stra­da, altrimenti sarebbe stato picchiato e rapinato, e di barricarsi nella camera d'affitto per evitare di essere spogliato di tutto. L’eparco, e cioè il sindaco di Costanti­nopoli, aveva alle sue di­pendenze un efficiente corpo di polizia ma faticava già ai tempi di Giustiniano a man­tenere l’ordine pubblico.
Procopio racconta un episodio. Nell’ippodromo l'imperatore è atteso ed è in ritardo. Gli azzurri rag­giungono i palchi dei verdi, scandiscono: «Licenza d’in­cendio - nessun verde in giro». I verdi si riversano al centro dello stadio e danno inizio al lancio delle pietre: «Licenza d’incendio - nes­sun azzurro in giro». Se­guirà, nella notte, una spedizione punitiva antiazzurra. Gli scontri fra bande avrebbe causato la morte di decine di migliaia di mani­festanti nella rivolta Nika, anno 532, trentamila morti nel solo ippodromo.
La vocazione bizantina all’autodistruzione di mas­sa non è esaurita dall’assemblearismo e neppure dal gusto della mobilitazione permanente. Il movimento ascetico è un immenso suici­dio collettivo. L'opposizione al mondo e a qual­siasi sua logica - la logica del pote­re, del successo, degli onori, ma anche la logica in sé, ciò che dà senso - è l’im­printing della santità bi­zantina, nasce dalla fuga dei Padri del deserto, gli anacoreti del III e lV secolo. A-na-choreo vuol dire, in gre­co, «me ne vado». Deserto in greco è eremos, vuol dire «vuoto». Dalle visioni di An­tonio nel deserto della Tebaide e dall’ascesi di Evagrio si arriva in dieci secoli al­la preghiera per­petua che svuota lamento dal «pec­cato del pensiero» nei santi esicasti bizantini del XIV se­colo e oltre. Si arriva a Nil Sorskij, alla versione slava di quello sciame di antichi santi che è la Filocalia. Si arriva al Pellegrino russo, a Leskov, con i suoi mistici vagabondi e Vecchi Creden­ti, a Leont’ev, che teorizza «l’ascetismo bizantino ac­canto all’immoralismo este­tico», allo staretz Zosima dei Fratelli Karamazov, e oggi alla musica di Arvo Pärt, espressione di un nuovo esicasmo collettivo.
Da quel rifiuto del mon­do alla ricerca di un vuoto esteriore quanto interiore di­scende la «santa follia» del­la Chiesa d’Oriente, che dà il titolo alla raccolta appe­na uscita da Piemme (a cu­ra di Francesco Maspero). Eremiti anoressici, maso­chisti neomartiri, stiliti ran­nicchiati in cima a una co­lonna - ma non per questo folli: anzi, tanto più santi e saggi. Perché «folli», per la Chiesa ortodossa, erano so­lo i saldi, santi-briganti, santi-trickster come Simeo­ne il Pazzo o Andrea (si ve­da la rassegna sistematica appena uscita nel primo vo­lume dell’Enciclopedia dei Santi. Le Chiese Orientali, curato per Città Nuova da un esperto bizantinista co­me Juan Nadal Cahellas).
Tutti gli altri in realtà non sono folli, perché folle, nel codice dell’infinita lette­ratura agiografica bizanti­na, è solo chi trova al mon­do un senso. Solo a chi non partecipa dell’anima pessimista dell’uomo ortodosso- essenziale al romanzo rus­so fino al nichilista di Do­stoevskij o al suo Idiota - il santo bizantino appare «fol­le» e eretico: perché anar­chico, perché gnostico, per­ché spregiatore del mondo.

 


  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio


© 2025 Silvia Ronchey, riproduzione vietata.

Facebbok