Cervelli italiani nel mondo: unitevi!
In Nord America sono 244 i docenti in scienze umane. Appuntamento a Washington, per creare una “rete”
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“Siamo pragmatici ma con princìpi. Non che il problema della fuga dei cervelli non sia importante. Ma l’incontro che abbiamo organizzato per il 13 e 14 aprile a Washington, fra oltre 120 professori italiani che insegnano scienze umane in Nordamerica, punta semplicemente a fare i conti con un dato di fatto. Sono 244, negli USA e in Canada, i nostri colleghi umanisti con tenures, che insegnano cioè stabilmente. In un mondo in cui entriamo comunque tutti in rete, vogliamo cooptarli, coinvolgerli, non farli sentire esuli, reinserirli di fatto in un circuito. Creare una rete permanente dell’irradiamento culturale italiano nelle scienze umane e sociali. Offrire un servizio, e nello stesso tempo sottolineare il peso della nostra presenza nell’organizzazione scientifica e accademica di alcuni dei paesi più avanzati del mondo”.
A parlare è Aldo Schiavone, direttore del SUM, l’Istituto Italiane di Scienze Umane. Un network che sotto questa sigla comprende non solo l’Istituto di Studi Umanistici dell’Università di Firenze, la Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università Bologna e quelle omonime delle Università di Siena e Roma La Sapienza, ma anche la Scuola di Formazione nelle Scienze Umane e Sociali dell’Università di Napoli e la Scuola Europea di Studi Avanzati, in cui sono a loro volta riuniti tre altri storici istituti napoletani, l’Orientale, il Suor Orsola Benincasa e l’Istituto di Studi Filosofici.
Questa rete di “scuole di eccellenza” creata da Schiavone — affiancato, a Bologna, da Umberto Eco, oltre che da un manipolo di cattedratici di lungo corso accademico e alta visibilità pubblica tra cui Mario Citroni, Franco Cardini, Maurizio Bettini, Omar Calabrese, Andrea Giardina, Ernesto Galli della Loggia — è stata oggi trasformata dal Ministero dell’Università in un unico “Istituto di alta formazione dottorale” con ordinamento speciale, inserito a tutti gli effetti nel sistema universitario pubblico. E tuttavia sostenuto anche da sponsor privati: “E’ stato proprio il nostro principio di autoregolamentazione etica”, spiega Schiavone, “a farci sostenere anche da risorse private, e non solo da quelle pubbliche, specie per iniziative come questa di Washington: non un euro dei contribuenti è stato speso per l’incontro, che è interamente pagato dalle risorse private della Fondazione SUM”. Nel cui CdA, accanto a un presidente illustre come Gae Aulenti e a nomi di prestigio come Paolo Mieli e Guido Rossi, siedono i vertici delle grandi banche e delle grandi imprese italiane, poteri reali ben scelti, coalizzati a sorreggere quest’arca di Noè, anzi questa flottiglia di arche del sapere elitario sopra le burrasche dell’università di massa e lo scadere degli studi.
E’ salpata in effetti, sotto forma di consorzio interuniversitario, nel pieno delle tempestose riforme Berlinguer-Zecchino-Moratti, che, pur discusse e contestate da più parti, ebbero sempre in Schiavone un autorevole difensore nel mondo accademico. Si potrebbe pensare — e qualcuno lo ha fa fatto, rammentiamo a Schiavone — che si sia voluto così giocare su due tavoli, garantendo, con la formula dell’“alta formazione”, un’oasi di privilegio, mentre l’università “bassa” veniva abbassata ulteriormente di livello, sia nella formazione degli studenti sia nella motivazione dei docenti.
“La nostra scommessa”, argomenta sereno Schiavone, lucido e convinto, “è stata districare, nel groviglio che era diventata l’università italiana, due percorsi diversi di formazione, di massa e elitaria, mantendendo però quest’ultima meritocratica e non censitaria, dunque inserendo anche l’alta formazione nello stesso sistema pubblico anziché farla migrare all’estero o appaltarla, come in larga misura nel modello americano, a strutture private”. C’è chi obietta che si sarebbe potuto con più determinazione risanare il sistema universitario preesistente, scaduto in conseguenza anche della demagogia postsessantottina, ma pur sempre migliore di tanti altri. “Io non sono fra questi. Chi rimpiange l’università di 50 anni fa dimentica che quella era di per sé una scuola di eccellenza, e per motivi quanto meno numerici. Mentre oggi, che ci troviamo di fronte a una società di massa, a una richiesta di intellettuali-massa, sarebbe impossibile immaginare di riproporla. Mescolare i due tipi di formazione sarebbe la rovina dall’università. E oggi far balenare questa utopia ideologica sarebbe pura demagogia. Mentre la soluzione è se mai far interagire i due percorsi, con una più fluida circolazione dei professori”.
Interroghiamo Schiavone su cosa intenda per intellettuali-massa, ossia sull’effettivo prodotto del primo e maggioritario percorso indotto dalla riforma universitaria, di cui si dichiara tuttora difensore convinto. “In Italia abbiamo il numero di laureati più basso di tutta Europa, Spagna inclusa, anche, badi bene, nelle materie umanistiche”, puntualizza. “Siamo, rispetto agli altri paesi europei, in debito di laureati. I laureati-massa sono i milioni di intellettuali con cognizioni superiori che mandano avanti la scuola, le amministrazioni, le aziende. Non chiediamo loro di tradurre all’impronta Platone, ma di saper svolgere funzioni che richiedono abilità mentali e cognitive di livello e ricoprire nella nostra società un fondamentale ruolo di cerniera”.
E quali sbocchi avrà, invece, il secondo percorso? Se il circuito SUM si ispira, ben più che al sistema privatistico angloamericano, a quello napoleonico francese, le Grandes Ecoles, dall’ENA all’Ecole Normale, sono state create fin dall’inizio per formare alti funzionari statali, destinati a trovare subito un posto nell’élite burocratica. Chi esce dal SUM, ha un’analoga garanzia? o, comunque, a quale approdo è destinato? “Il classico sbocco è la carriera universitaria, e abbiamo già in questo senso il riscontro dei nostri primi dottori. Ma c’è soprattutto una crescente richiesta di dottori di ricerca da parte delle aziende, in Italia e all’estero, e più ancora del tipo di giovani che noi formiamo sommando ai tre anni di dottorato due anni di post-dottorato. E’ presto per fare delle statistiche, vedremo nel prossimo futuro. Intanto il nostro Ufficio Placement segue e registra la reazione del mercato”.