I pagani, fuori dal coro
Lettere da Bisanzio
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Alla fine dei '400, poco dopo la caduta di Bisanzio, l’Elogio dell’amanuense di Giovanni Tritemio, monaco di Wunburg, esorta gli umanisti a imitare la spregiudicatezza dei greci - «Facevano in modo che ogni cosa detta o fatta in modo diverso dal loro venisse tradotta e depositata nelle pubbliche biblioteche». Mentre in genere «l'umana debolezza è meno intimorita da ciò che è abituale per la maggioranza dei propri simili», i greci invece erano per natura così poco settari che proprio una volta divenuti cristiani si diedero a copiare con il più grande entusiasmo i testi pagani cosa peraItro indispensabile, poiché «la conoscenza delle opere pagane - spiega Tritando -, è essenziale proprio per comprendere le Sacre Scritture, e i monaci di un tempo lo sapevano bene».
Platonica, e pagana, è la Biblioteca Bizantina per eccellenza, quei mille fantastici codici che Bessarione donò al monastero di San Giorgio e poi al Senato veneziano, manifesto della Tradizione antica e fonte prima delle conoscenze occidentali moderne. In questi giorni l'ellenismo di Bessarione è stato ricordato nel Corso annuale della Fondazione Cini di Venezia, insieme a quello del suo maestro, Giorgio Gemisto, capo della scuola platonica di cui Bessarione aveva fatto parte alla corte dei dèspoti Paleològhi di Mistrà: la stessa in cui Goethe farà incontrare a Faust la Grecia e Elena (Faust II, vv. 9182 sgg.). L’umanesimo dei greci, l’ininterrotta serie bizantina di rinascenze, passò all’Europa i libri come testimoni, da navi e dàrsene, tra il Bosforo e la Laguna.
Cosa sarebbe stato mai il Rinascimento senza l’Homerus Venetus A e B, senza l’Antologia Planudea, senza i manoscritti di Esiodo, Eschilo, Aristofane, Fozio, senza, soprattutto, la rete fitta di testi platonici e neoplatonici di cui è tessuto l’Elenco del lascito bessarionéo alla Marciana.
«Inter graecos latinissimus inter latinos graecissimus»: così Bessarione veniva definito. Parlare sempre con una voce diversa dal gruppo in mezzo a cui ci si trova, non mimetizzarsi: una buona regola per intellettuali di qualunque epoca, in genere non seguita. Bessarione tra i latini vestiva di nero, colto e prudente Rasputin dei Papi. Ai bizantini decantava l'occidente, le innevate guglie tedesche, le corti rinascimentali, gli amici umanisti, Venezia, che chiamava «seconda Bisanzio», colpito da un 'affinità visiva col mondo bizantino, di luci dorate e di acque, che avrebbe commosso anche un altro intellettuale in fuga dalla Bisanzio di questo secolo, Josif Brodskij, oggi sepolto tra i cipressi bockliniani dell'isola di San Michele.
Se Bessarione è l’uitimo Bizantino, il suo maestro Giorgio Gemisto, che si autodenominò Plétone (gémistos come pléthon in greco sia per «pieno», «strapieno», «traboccante») è detto in genere l’Ultimo Pagano (a torto: l’appellativo toccherebbe semmai all’allievo, anche se poi divenuto cardinale). In realtà Gemisto era, per i suoi contemporanei, il Primo: il teorico della nuova religione, che gli ultimi bizantini stavano introducendo nel Mediterraneo.
Riferisce Giorgio di Trebizonda che interpellato su chi avrebbe vinto, se Cristo o Maometto, Gemisto disse: «Nessuno dei due, vincerà la religione dei Gentili». La terza (o quarta) religione mediterranea moderna sarebbe stata, se avesse potuto affemarsi, un ritorno alla teologia platonica. L’idea cadde insieme all’impero: in mano ai Turchi o più probabilmente se diamo credito a Braudel, in mano alla ragione economica del nascente capitalismo. Se così non fosse stato, la religione platonico-bizantina avrebbe educato l’umanità alla critica, all’antidogmatismo, alla tolleranza e soprattutto al rispetto per la natura e per i viventi non umani, che il paganesimo politeista ha praticato ovunque - dall’antica Grecia olimpica al Giappone shinto - contrariamente alle nostre religioni dominanti, monoteiste e antropocentriche.