Da Plutarco agli animalisti
Lettere da Bisanzio
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Diogene di Tarso decise di dedicarsi alla filosofia osservando un topo: il topo era autosufficiente, lui no, racconta Diogene Laerzio. L’amore per gli animali è pagano in generale e greco classico in particolare: la più organica enunciazione teorica della dottrina animalista si trova negli Opuscula di Plutarco. Quanto al vegetarianismo come stile di vita e come ideologia dettata da una visione razionalistica e coerente all’estremo del mondo, è soprattutto legato al manicheismo, la grande corrente del pensiero orientale tardoantico e bizantino coeva e contagiarne il cristianesimo e i suoi filosofi, a partire dal giovane Agostino. Il divieto di mangiare carne, uno dei Tre Sigilli manichei, dipende dal fatto che i cibi animali sono morti, e perciò pura materia abbandonata dalla luce II manicheo d’altronde se si asterrà dal sopprimere la vita, si guarderà anche, malthusianamente, dal propagarla nel mondo con la procreazione.
Sempre più spesso nel Novecento l’equiparazione del figlio dell’uomo al resto del vivente viene assorbita nell’usus mentale del cristianesimo postconciliare. E, come ha scritto Pindaro, «l’uso su tutto è sovrano». Ma in realtà, qualunque cosa si voglia credere, la religione cristiana è per sua natura pienamente antropocentrica. La possibilità di una redenzione cosmica, che candida cioè non solo l’essere umano ma anche gli animali, le piante o perfino minerali alla gloria eterna, è confinata a un unico, misterioso e discusso, esilissimo nucleo dogmatico, un versetto della Lettera ai Romani di Paolo (8,19-22): «Il creato stesso (ktisis) nutre la speranza di essere liberato dalla schiavitù delta corruzione materiale».
In un recente saggio (L’uomo o il creato? Ktisis in San Paolo, Edb) un vescovo italiano, Alberto Giglioli, ha sostenuto, filologicamente a ragione, che ktisis nel greco della Koiné e più oltre, in quello bizantino dei Padri, non vale «creato» ma «creatura»: che Paolo, una volta di più non si interessa affatto al cosmo non umano, ma a quel microcosmo divinizzato o divinizzabile che è l’uomo, fulcro delta sua dottrina e perno del prefigurato riscatto cristiano. Autorità ecclesiastiche eminenti, teologi e biblisti si sono dichiarati d’accordo con la lettura strettamente antropologica del brano paolino, e anche in sede propriamente ermeneutica la traduzione di Giglioli è stata accolta nella Nueva Biblia Española.
Il parziale avallo dell’esegesi, invece, cosmologica di Romani 8,19-22 durante il Concilio Vaticano II non implicava forse - si domanda Giglioli - il rischio di una «strisciante divinizzazione della materia», di allinearsi con «la cultura oggi prevalente, che sfuma o cancella il confine tra l’uomo e gli animali», che «costituisce un piano inclinato verso il panteismo» e «fa correre il rischio di tornare alla religiosità cosmica del paganesimo?» (Avvenire, 26 novembre 1998). Segnalata dal dubbio di Agostino, respinta dalla Summa di Tommaso, seguita, non a caso, solo a Bisanzio, da quei diretti eredi delta tradizione neoplatonica che furono i Padri greci del IV secolo, in questa fine di XX secolo l'idea di un riscatto del vivente non umano appare dunque scartata dalla teologia cristiana d’occidente, anche se in antitesi a quella che riconosce come «cultura oggi prevalente» e in opposizione sia alla filosofia greca antica, sia al pensiero moderno da Schopenauer in poi. Onestamente tomistico e profondamente radicato appare così anche il rifiuto di ogni sincretismo rispetto al pensiero orientale (e a quanto di oriente penetrò nella spiritualità bizantina e poi russa), nonostante tutta la simpatia per i Veda o gli Avesta, per la predicazione di Tirthankara o di Buddha, espressa nell’enciclica Fides et ratio.