Basilio come Baudelaire
Lettere da Bisanzio
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«Quando il mondo era più giovane di cinque secoli tutti gli eventi della vita avevano forme molto più marcate di ora», ha scritto Johan Huizinga nel primo capitolo dell'Autunno del Medioevo (ora ristampato nei Saggi Bur). «Fra dolore e gioia, fra calamità e felicità, il divario appariva più grande. Ogni stato d’animo aveva ancora quel grado di immediatezza e di assolutezza che la gioia e il dolore hanno per lo spirito infantile».
Quando il mondo era più giovane di quindici secoli, tre meridiani più a est del medioevo descritto dallo storico olandese, la stessa percezione della natura era condivisa dagli abitanti della Cappadocia, come testimoniano le nove omelie quaresimali sulla creazione del mondo composte da un grande padre bizantino, Basilio di Cesarea (oggi disponibili nell’edizione della Fondazione Valla curata da Mario Naldini). Quanto più gravi erano l’avversità e l’indigenza, tanto maggiore era la capacità di godere del loro mitigarsi. Ai tempi di Bisanzio gli uomini erano più vulnerabili dalla crudeltà della natura, ma anche più alla sua contemplazione estatica.
«La natura è un tempio dove colonne viventi / emettono a volte confuse parole; /l'uomo passa tra foreste di simboli / che lo osservano con sguardo familiare», ha scritto Baudelaire in Corréspondances. L’in-Exhaemeron («sui sei giorni») di Basilio il Grande, oltre che un breviario di estetica, è un inno alla struttura poetica del cosmo, all’infinita trama di connessioni, corrispondenze e risonanze della natura creata, colta nell'alba del suo primo sole: «L’aria si faceva splendida tutt’intorno... in un attimo e quasi in un lampo che nessuno immaginerebbe più rapido».
La provincia d’Asia nel quarto secolo, in cui visse Basilio, appare come un’assoluta meraviglia. Un mare ancora «lucente, su cui regna profonda quiete, o a volte increspato in superficie da leggere brezze, trascolorante da porpora in azzurro», una terra che all’alba «indossa la sua veste di luce sfoggiando le infinite specie di piante», l’erba folta, le fertili distese ondeggianti di spighe, la rosa «in origine priva di spine». L’aria è piena di traiettorie d’uccelli, il globo, «immenso nella sua grandezza e nel suo peso, puntato su se stesso», è sovrastato dal gigantesco cielo microasiatico gremito di astri e di dei, dei demoni del neoplatonismo, del roteante zodiaco dei Caldei. Senza le luci delle città, incontrastato, domina le notti «lo spettacolo della luna», sotto il cui raggio ancora riposano i melanconici: «Il suo umore riempie abbondante gli spazi della loro testa».