Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Apocalisse e colpa collettiva

Lettere da Bisanzio

26/11/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

Nel celebre passo con il qua­le termina l’Essai sur l’inegalité des races humaines, Arthur de Gobineau evoca l’inevitabile scomparsa del­la nostra specie: «La scien­za, mostrandoci che abbia­mo avuto inizio, sembra continuamente assicurarci che avremo fine» e che so­praggiungeranno «epoche invase dalla morte, in cui il globo, divenuto muto, con­tinuerà, ma senza di noi, a descrivere nello spazio le sue impassibili orbite».
«Certamente - ha rispo­sto Claude Lévi-Strauss, 90 anni, quando gli è stato chiesto se la specie umana rischia di estinguersi -. Non è né impossibile né inconce­pibile. I dinosauri, come al­tre specie animali, sono scomparsi cinquecento mi­lioni di anni fa. Dopotutto, perché l’umanità non do­vrebbe scomparire anche lei completamente?». Sulla fra­se di Gobineau e le sue riso­nanze recondite il grande antropologo aveva scritto del resto un memorabile saggio: il XXI capitolo del suo ultimo libro, Regarder, écouter, lire.
Il neomillenarismo, la convinzione, oggi ampia­mente diffusa, che il mondo sia agli sgoccioli, ha porta­to uno speciale e tenace in­teresse per l’escatologia, o dottrina degli ultimi tempi; per l’elaborazione di sim­boli, visioni e profezie che già nell’antichità e nel me­dioevo annunciarono, raffi­gurandolo, l’inevitabile e prossimo annientamento della specie umana.
Nei popoli dei cosiddetti secoli bui e anzitutto in occidente, dov’è stata originariamente studiata, questa sindrome è considerata da uno storico della fine del mondo antico, Santo Mazzarino, l’effetto di un dolore sociale apparentemente inspiegabile, sentito come colpa collettiva. Nel più evoluto mondo bizantino il male da espiare è forse diverso e più simile al nostro: un eccesso di ingegno, di civiltà, di benessere. Ma anche a Bisanzio il cupio dissolvi dell’uomo medievale persiste a ispirare una letteratura escatologica quasi sconosciuta, dove la premonizione della fine dell’essere umano e del suo mondo è insistentemente connessa all’incubo della fine di un regime politico e di un modo di vita che si considera invece felice, giusto e progressivo.
Nel mondo greco orienta­le, oltre alla letteratura sul­la caduta di Bisanzio (sin­tetizzata nei volumi sulla conquista di Costantinopo­li curati da Agostino Pertusiper la Fondazione Valla), la letteratura apocalittica e visionaria andò proliferan­do sia prima, sia in margi­ne e quasi a giustificazione di quel catastrofico evento di caduta, allorché real­mente occorse: apocrifi vetero o neotestamentari nello stile di Giovanni o di Da­niele, oppure leggende, va­ticini e oroscopi nel genere astrologico e mantico, enig­mi e oracoli talvolta splen­didi, come gli Oracula Leonis.
Questi imperscrutabili te­sti hanno una valenza pro­priamente escatologica o letterario-fantastica, che li av­vicina a un’estetica contem­poranea, borgesiana. Ma, soprattutto, la profezia ex eventu o post eventum ha un significato storico, intuibi­le, sotto il velo dell’allegoria, nella filigrana dell’ideolo­gia, che va oltre il racconto apocalittico. Il legame arbi­trario e fantastico istituito tra il limite dell’espansione politica del cristianesimo e il termine estremo della sto­ria rivela l’originario rac­cordo fra aspettativa meta­fisica e disegno universali­stico cristiano; secondo le parole di san Paolo, nella consumazione dei tempi, quando l’imperatore cri­stiano avrà sottomesso la terra, l’ultimo nemico eli­minato sarà la morte.

 

 

 

 


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