Apocalisse e colpa collettiva
Lettere da Bisanzio
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Nel celebre passo con il quale termina l’Essai sur l’inegalité des races humaines, Arthur de Gobineau evoca l’inevitabile scomparsa della nostra specie: «La scienza, mostrandoci che abbiamo avuto inizio, sembra continuamente assicurarci che avremo fine» e che sopraggiungeranno «epoche invase dalla morte, in cui il globo, divenuto muto, continuerà, ma senza di noi, a descrivere nello spazio le sue impassibili orbite».
«Certamente - ha risposto Claude Lévi-Strauss, 90 anni, quando gli è stato chiesto se la specie umana rischia di estinguersi -. Non è né impossibile né inconcepibile. I dinosauri, come altre specie animali, sono scomparsi cinquecento milioni di anni fa. Dopotutto, perché l’umanità non dovrebbe scomparire anche lei completamente?». Sulla frase di Gobineau e le sue risonanze recondite il grande antropologo aveva scritto del resto un memorabile saggio: il XXI capitolo del suo ultimo libro, Regarder, écouter, lire.
Il neomillenarismo, la convinzione, oggi ampiamente diffusa, che il mondo sia agli sgoccioli, ha portato uno speciale e tenace interesse per l’escatologia, o dottrina degli ultimi tempi; per l’elaborazione di simboli, visioni e profezie che già nell’antichità e nel medioevo annunciarono, raffigurandolo, l’inevitabile e prossimo annientamento della specie umana.
Nei popoli dei cosiddetti secoli bui e anzitutto in occidente, dov’è stata originariamente studiata, questa sindrome è considerata da uno storico della fine del mondo antico, Santo Mazzarino, l’effetto di un dolore sociale apparentemente inspiegabile, sentito come colpa collettiva. Nel più evoluto mondo bizantino il male da espiare è forse diverso e più simile al nostro: un eccesso di ingegno, di civiltà, di benessere. Ma anche a Bisanzio il cupio dissolvi dell’uomo medievale persiste a ispirare una letteratura escatologica quasi sconosciuta, dove la premonizione della fine dell’essere umano e del suo mondo è insistentemente connessa all’incubo della fine di un regime politico e di un modo di vita che si considera invece felice, giusto e progressivo.
Nel mondo greco orientale, oltre alla letteratura sulla caduta di Bisanzio (sintetizzata nei volumi sulla conquista di Costantinopoli curati da Agostino Pertusiper la Fondazione Valla), la letteratura apocalittica e visionaria andò proliferando sia prima, sia in margine e quasi a giustificazione di quel catastrofico evento di caduta, allorché realmente occorse: apocrifi vetero o neotestamentari nello stile di Giovanni o di Daniele, oppure leggende, vaticini e oroscopi nel genere astrologico e mantico, enigmi e oracoli talvolta splendidi, come gli Oracula Leonis.
Questi imperscrutabili testi hanno una valenza propriamente escatologica o letterario-fantastica, che li avvicina a un’estetica contemporanea, borgesiana. Ma, soprattutto, la profezia ex eventu o post eventum ha un significato storico, intuibile, sotto il velo dell’allegoria, nella filigrana dell’ideologia, che va oltre il racconto apocalittico. Il legame arbitrario e fantastico istituito tra il limite dell’espansione politica del cristianesimo e il termine estremo della storia rivela l’originario raccordo fra aspettativa metafisica e disegno universalistico cristiano; secondo le parole di san Paolo, nella consumazione dei tempi, quando l’imperatore cristiano avrà sottomesso la terra, l’ultimo nemico eliminato sarà la morte.