Il circolo Blair
Scrittori, registi, designer, sono protagonisti della nuova Inghilterra. Ribelli e poco conservatori, il premier li adora, ma loro non ricambiano...
Articolo disponibile in PDF
Tubby, il protagonista di La felicità è di questo mondo - l’ultimo romanzo di David Lodge, il più liberal dei romanzieri inglesi della vecchia guardia - è uno scrittore di testi televisivi con molti tratti in comune col suo creatore. Come lui si è arroccato in un appartamento nel cuore di Soho, con una crescente sensazione di morte. Frequenta il Groucho, il più recente e alternativo dei club londinesi, provocatoriamente incuneato in Dean Street, tra punk e neohippy, ristoranti etnici e sexy shop. Soprattutto, gli capita spesso di chiacchierare con un giovanotto venuto dal Nord, saccopelista in Doc Marten’s e giacca a vento installato nell’androne di casa sua, dotato di una cultura trash e perlopiù televisiva, da cui estrae però citazioni coltissime e abbaglianti. Più sveglio e spregiudicato di lui, il giovanotto, alla Fine della storia, gli occuperà e svaligerà la casa - non senza un finale gesto di generosità.
Anche se Lodge lo ha concepito qualche anno fa, il plot del suo libro potrebbe essere la metafora - ed è in ogni caso la profezia - di quanto è accaduto agli scrittori inglesi cinquantenni: la nuova generazione di giovani scrittori cool trenta-quarantenni ha sbancato il mercato librario, cinematografico, musicale e artistico di tutto il mondo. È il nuovo trend, che non riguarda solo la letteratura, ma il cinema (si pensi a Trainspotting e Full Monty), la musica (Oasis e Blur), il design (Tom Dixon e gli Eurolonge), la moda (John Galliano e Alexander Me Queen). Per cui oggi si parla di nuova Inghilterra, di un altro rinascimento, di una seconda ondata, dopo la prima, degli anni Sessanta, dei Beatles e della swinging London.
Cresciuti negli anni di crisi del governo conservatore, abituati ad arrangiarsi nel procurarsi tutto, mestiere e casa, cibo e cultura, un po’ furbi e un po’ maledetti, cresciuti sempre e comunque nell’esperienza reale e cruda delle cose di cui hanno scritto - disoccupazione e smodata passione per il calcio, nomadismo e teppismo, droga e rave, musica e anoressia - gli artisti della Cool Britannia sembrano la diretta evoluzione del saccoapelista di Lodge. A giudicare non solo dai loro libri ma dalle loro dichiarazioni, sempre più numerose e scandalose.
Lo scozzese Irvine Welsh, uno dei capiscuola, autore di Trainspotting e di Ecstasy (Guanda), di Acid House (di cui Sellerio ha appena pubblicato una scelta, La casa di John il Sordo), che il Sunday Times ha definito «il poeta laureato della generazione chimica», prima di diventare romanziere riparava televisori. È figlio della working class delle Highlands Alan Warner, «uno dei più grandi talenti a nord di Welsh» secondo il Guardian, raver autentico e autore dell'acclamato Morvern Callar (in uscita da Guanda con il titolo Rave girl), che l’autore definisce “un vecchio romanzo esistenzialista rifatto nei colori di oggi” e in cui mescola lo slang scozzese e il gaelico con una prosa sorprendentemente professionale. Warner è uno degli “acidi scozzesi” che daranno il titolo all’antologia in uscita da Einaudi, insieme a Gordon Legge, James Meek, Paul Reekie, Laura Hird. Il suo libro di formazione è stato L’immoralista di Gide, ma tra la fine della scuola e l’inizio della scrittura ha fatto dieci anni di lavoro come manovratore di treni e week end di droga e sbornie. «Un bel po’ di materiale. Dieci anni di lavori di merda ti mettono la realtà in mano». Viene da pensare ai giovani scrittori italiani, i cannibali dei quartieri alti, coccolati da famiglie premurose.
EX GIARDINIERI E RAGAZZI DI PERIFERIA
Il neoromantico Louis De Bemiòres, autore di un grande successo come Captain Corelli’s Mandoline, addirittura definito dalla stampa anglosassone «il Dickens del nostro tempo» prima era un hippy («fallito» precisa) e campava con piccoli lavori di falegnameria e di giardinaggio. Il massimo dei suoi desideri, stando a lndipendent on Sunday : una lavatrice, perché è stufo delle laundrette. Il famosissimo Nick Hornby, prima di scrivere i suoi best seller sulla musica pop (Alta fedeltà) e sul calcio (Febbre a 90°, 300 mila copie vendute), tradotti da Guanda, faceva l’insegnante ai bambini e dedicava tutto il suo tempo al football, vivendo in periferia vicino ai campi d’allenamento dell’Arsenal, la sua squadra del cuore inesorabilmente mediocre.
Se Hornby ha sedotto il pubblico rivelando una volta per tutte le debolezze del maschio inglese, la scrittrice più amata, autoironica e forse in assoluto più matura del British Renaissance è Helen Fielding, caustica single postfemminista con studi oxfordiani, esperienza televisiva e una column settimanale su lndipendent che ha reso indimenticabile il personaggio, parzialmente autobiografico, di Bridget Jones: «Il più amato dagli inglesi dopo Emma di Jane Austen» secondo Newsweek. Nato quando - rivela l’autrice - riaprendo i diari tenuti negli anni universitari si è accorta «che consistevano in buona parte di liste di cibi e conti delle calorie». Come non identificarsi? «Bridget è congelata dall’intelligenza e crivellata dall’angoscia» spiega l’autrice. Ma soprattutto è piena di uno humour sulla condizione femminile che le femministe ortodosse inglesi (quelle di Retate) non hanno perdonato a Helen Fielding, insieme, forse, alle centinaia di migliaia di copie vendute del Diario di Bridget Jones, il best seller uscito un anno fa in Inghilterra e ora tradotto da Sonzogno, che si annuncia come un evento letterario anche in Italia.
Mentre le lodi piovono sui giovani autori, una scarica di critiche si abbatte sullo scrittore-simbolo (insieme a McEwan, Rushdie, Ishiguro) della vecchia guardia, l'ex giovane ora extra-ricco (e arrogante) Martin Amis, che dichiara al Daily Telegraph: «La seccatura di scrivere un romanzo sulla periferia è che devi andarci». “Meglio ricco che letto” titola allora a tutta pagina Indipendent, domandandosi se i suoi romanzi valgano davvero il milione di sterline di anticipo scucito dal suo editore. Come mai quello che le pagine culturali inglesi definiscono il Mick Jagger della letteratura «è più bravo a far scrivere di sé che a scrivere di suo»? Accadrebbe mai tutto questo a un romanziere in carriera in Italia? Figuriamoci.
IGNORANO LE REGOLE E AMANO L’UNDERSTATEMENT
Invece, il moralismo e la sincerità inglese non perdonano. Amis cade, ma un personaggio come David Lodge, bastian contrario per vocazione, è stato fin dall’inizio un attento osservatore degli eventi e uno dei primi soci del Groucho. Ebbene, se vi fate accompagnare da lui a prendere un tè, la tazza vi arriverà accompagnata solo da un sacchetto di biscotti da supermercato. Vanno di più gli alcolici, nelle sale volutamente trasandate del Groucho, dove si muovono non solo giovani scrittori (l’unico veramente mondano è Will Self, in Italia per Feltrinelli), ma soprattutto artisti, musicisti, registi, pittori del nuovo Brit-design. Fra questi, una maggioranza di donne inusitata nei club inglesi. La noncuranza per ogni tipo di regola o status symbol, l’understatement, la bizzarria, la disomogeneità sono la cifra della Cool Britannia. Non a caso il club è intitolato proprio a Groucho Marx, per quella sua famosa frase: «Non entrerei mai in un club che mi accettasse come suo socio».
Può sembrare allora strano che con l’avvento del nuovo governo laburista il movimento venga addirittura chiamato, dai giornali, «il circolo di Tony Blair». In effetti, il leader laburista non ha resistito alla tentazione di cavalcare il fenomeno. Ma contrariamente all'Italia, in Inghilterra gli intellettuali, davanti al potere, non hanno la tradizione di prosternarsi: ai tentativi di servirsi della loro immagine da parte di Blair, la Cool Britannia ha reagito in modo sprezzante. L’acido scozzese Alan Warner si è detto, senza giri di parole, «politicamente non rappresentato». Helen Fielding e Nick Hornby sono andati a una cena per pochi invitati a Downing Street, ma poi hanno denunciato un enorme imbarazzo. Quanti giovani scrittori italiani oserebbero farlo? Hornby ha dichiarato che «il Labour ha compiuto un notevole salto verso destra». Hornby ha anche tenuto a ridimensionare la portata del lutto popolare inglese per Diana, esaltato da Blair. Anche sull’accezione del tifo calcistico, l’autore di Febbre a 90° ha snobisticamente rintuzzato le retoriche domande di un giornale sportivo italiano sul “patriottismo" calcistico: «Per un liberale o un uomo di sinistra è fastidioso osservare il culto per la nazionale di calcio».
Sul versante cinematografico, poi, le cose non vanno tanto meglio al segretario per la cultura inglese Chris Smith che al nostro ministro Walter Veltroni. Certo, c’è qualche differenza. Il pulp italiano nei cinema fa flop e bisogna ritirarlo, mentre nella sezione “The British Renaissance” del Festival di Venezia, Face di Antonia Bird è stato acclamato per la sua grinta da gangster-story e nelle sale il Wilde di Brian Gilbert ha avuto un discreto successo. Ma i due film evento, Trainspotting e Full Monty, sottolinea il Financial Times, sono stati prodotti ancora sotto i Tories, mentre molti film sovvenzionati dal nuovo governo non sono neanche entrati nel circuito di distribuzione. Il Financial Times titola: “La Cool Britannia lascia a secco i laburisti".
Comunque, la peggiore figura a Blair l’hanno fatta fare i musicisti. “Blair scopre l’altra faccia del flirt col pop" titolava pochi giorni fa il serioso Times. E uno dei molti articoli contro i tentativi del premier di farsi pubblicità invitando i gruppi del nuovo miliardario trend musicale inglese, il boss discografico Alan McGee.
Noel Gallagher degli Oasis e tanti altri. «Solo un politico ubriaco di potere poteva tentare una manovra così goffa» si sono indignati i giornalisti, dopo le imbarazzanti dichiarazioni degli invitati a Downing Street: «Sono la stessa combriccola, solo con un ipocrita al cerimoniale» (Ian Broudle dei Ughtning Senési «Sono peggio dei conservatori, perché almeno i Tories ti aspettavi che fossero così» (Jarvis Cocker dei Pulp) «Sempre a cercare il compromesso» (Nell Hannon dei Divine Comedy). E McGee ha addirittura accusato il premier Blair di volergli «tappare la bocca».
La differenza tra gli italiani e gli inglesi non potrebbe essere più evidente. Il moralismo prevale. C’è sarcasmo e c’è autoironia. La furbizia non diventa cinismo né cortigianeria. Non c’è connivenza con le case editrici. Soprattutto, sui giornali non c’è omertà. I giochi demagogici dei premier e dei vari ministri della cultura trovano un limite, se non un'aperta denuncia. I giovani artisti preferiscono la libertà alla sudditanza ai politici, proprio perché sono abbastanza smaliziati da sapere che se vogliono diventare la nuova classe intellettuale devono rimanere indipendenti.