E tu, non fai ancora parte del “Club Reverte”?
E' il nuovo gioco di società degli appassionati dello scrittore spagnolo. Ne fanno parte, politici, intellettuali, editori affascinati dai suoi romanzi che considerano veri manuali di sopravvivenza
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"Viviamo in un mondo disordinato e confuso, in cui l'unica regola è l'assenza di regole. La chiave per capire il presente, non redimerlo ma per lo meno conoscerlo e accettarlo, è sapere da dove veniamo. Siamo soldati persi in territorio nemico, dove l'unica bussola è la storia". E' il manifesto del Club Reverte, l'ultimo vero, esclusivo e variegato partito trasversale italiano. Chi sono gli ammiratori di Arturo Perez Reverte, il più popolare degli scrittori aristocratici, l'inventore di best-seller colti che ha sfidato a duello la narrativa di consumo americana, il vendicatore letterario che, come il suo Maestro di scherma, tiene a distanza a colpi di fioretto un presente che non gli piace? Sono professori universitari e maestri del cinema, editori e critici, giornalisti e politici, uniti dalla fascinazione per i suoi romanzi e dalla convinzione che non siano fughe nella storia ma manuali di sopravvivenza. Abbiamo interpellato alcuni dei più eminenti soci del Club. Ma prima di tutto abbiamo sottoposto Reverte, in Italia per l'uscita del suo ultimo romanzo (La regina del sud, Tropea, 407 pp., 18 €), a un breve interrogatorio.
Perez Reverte odia il termine artista, ama definirsi un artigiano. "La letteratura", dice, "ha ancora una battaglia importante da affrontare. E' consolazione, spiegazione. E' analgesica. Ma una banda di teorici deficienti ha detto che è un'arte per pochi eletti e che deve divorziare dal mondo reale. Non è così, ma quest'idiozia ha causato la diserzione del pubblico dalla lettura e la vittoria della televisione". Neppure il più nobile dei mass media è in grado, per Reverte, di competere con un buon romanzo: perfino sulla Nona porta, il film di Polanski tratto dal suo Club Dumas, era inizialmente perplesso. "L'invasione della tv e del cinema pastorizzati ha portato all'omogeneizzazione dei gusti e dei costumi. Il pericolo immenso che ci arriva dall'America è un mondo senza identità e senza memoria. Ma senza memoria siamo orfani".
I modelli narrativi di Reverte sono Stendhal, Dumas, Mann. Ma, avverte, se ormai il lettore potenziale ha nella testa una formidabile e irreversibile enciclopedia audiovisiva, la strada più dignitosa per una letteratura che voglia ancora essere utile è impadronirsi delle armi del nemico. "Gli scrittori devono imparare a rendere compatibile la cultura, la spiegazione del mondo e dell'essere umano che ci dà la storia, con le tecniche narrative moderne. Solo così possono raggiungere il mondo reale che c'è per strada. E' quello che cerco di fare. I miei non sono mai romanzi storici. La storia è un pretesto, una chiave per entrare nel cuore degli uomini e far loro capire il presente. Gli strumenti della letteratura orfana di memoria dei paesi anglosassoni, del thriller americano, perfino del cinema, mi servono come cavallo di Troia per rimettere in circolazione gli eterni temi e le antiche storie della nostra cultura, da Omero all'Ottocento".
Reverte non solo detesta la modernità, è anche disincantato e pessimista sulla storia. "L'illuminismo ha affermato una cosa falsa, che l'uomo è buono ed è la società a renderlo cattivo. Che il mondo progredisce e va verso un'umanità migliore. Invece l'uomo è un perfetto figlio di puttana. La società a volte lo addomestica e lo rende civile. Ma quando le condizioni oggettive cambiano, quando il caos naturale della vita fa ritorno, prevalgono i soliti istinti: sopravvivenza, cibo, lusssuria". Reverte ha smesso di credere nelle battaglie collettive. "Il 18° è stato il secolo delle idee, il 19° della speranza, il 20° delle rivoluzioni e del loro fallimento. L'uomo entra nel 21° secolo sapendo che la rivoluzione è ormai impossibile. L'unica rivoluzione che ci attende è la vendetta di coloro che non hanno nulla. Una rivoluzione non ideologica, ma primitiva e primaria, che sarà terribile. Non invidio i miei discendenti. L'unica salvezza sarà individuale: pedoni isolati sulla scacchiera, che decidono di fare del loro piccolo spazio sulla tavola la loro dignità e la loro lotta. La loro unica trincea sarà la lucidità della memoria".
Ma conservarla è difficile. All'origine della decadenza culturale, in Spagna come in Italia, c'è, dice Reverte, un senso di colpa. Il patriottismo, l'orgoglio per il passato vengono confusi con l'uso che ne hanno fatto franchismo e fascismo. Chi si interessa alla storia viene preso per reazionario. Il potere culturale demonizza il passato. "L'Europa è nelle mani di ministri della cultura analfabeti, che invece di elevare sé stessi abbassano il livello della cultura alla loro mediocre statura intellettuale. Con i risultati che vediamo. Ma se i miei governanti hanno complessi, io non ne ho. Ho ricevuto un'istruzione classica, diecimila anni di memoria, dalla Bibbia e da Omero attraverso Roma, il Medioevo latino e greco, il Rinascimento, sono dentro di me. So di far parte di una cultura vecchia e saggia, opposta alla cultura barbara del Nord. Sono superiore a qualsiasi americano immemore, orfano, prigioniero del presente. E' questo che mi dà un aplomb. Riesco a capire anche quell'imbecille di Bush, perché conosco la sua disgraziata storia".