Studiare greco e latino non è da reazionari
Convegno italo-francese a Siena: i governi di sinistra rilanciano le "lingue morte"
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Cos’è un classico? Aulo Gellio, scrittore del secondo secolo, definiva così un libro «affidabile e solvibile», che non fa perdere tempo ma ripaga il lettore del tempo che gli ha dedicato, contrariamente a certi libri che intendono sedurre, stupire, ma poi lasciano soli. Nella dichiarazione congiunta italo-francese «Sulla cultura classica come fondamento per un Rinascimento europeo», firmata sotto gli austeri affreschi certosini dell'abbazia di Pontignano dai ministri della Pubblica Istruzione Berlinguer e Allègre (nel corso del vertice che ha riunito a Siena in occasione del Palio i due primi ministri Prodi e Jospin), per classico s'intende, specifica il testo, «ciò che si impone al di sopra del trascorrere del tempo, la coscienza della continuità dei valori e dell'indipendenza dello spirito». Ma la cultura classica soffre di un discredito, oggi, quasi insopprimibile. A studiare il greco sono meno studenti in Francia che negli Stati Uniti. In alcune università francesi, ha rivelato Allègre, si contano sulla punta delle dita: quattro studenti a Digione, tre in tutto a Rennes. La crisi ha radice, ovviamente, nell'istruzione secondaria. Anche in Italia, dove la formazione classica si considera tradizionalmente molto sviluppata, su cento studenti delle superiori solo nove hanno contatti con il greco, chiariscono dal ministero della Pubblica Istruzione italiano, e quanto al latino, si arriva a un 34 per cento includendo scuole in cui quest'insegnamento è puramente nominale. A ribadire l'importanza della cultura classica nella società contemporanea sono arrivati a Siena grandi studiosi di entrambi i Paesi. Per l'Italia gli archeologi Matthiae e Manacorda, lo storico della filosofia antica Giovanni Reale, i latinisti Chiarini e Bettini, il filologo romanzo Giuseppe Sansone. Mentre la Francia allineava vedette del Collège de France come Marc Fumaroli e un decano dell'antichistica come Paul Veyne, insieme al medievista André Vauchez, alla linguista Claire Benveniste e all'italianista Jacqueline Risset, che ha aperto il dibattito cercando di spiegare - e forse di giustificare - la censura imposta dalla sinistra agli studi classici, visti spesso come reazionari. «Chi ci libererà dai greci e dai latini?», ha esordito, citando un detto usato - ma in tutt'altro contesto - da Baudelaire, e attribuendo il discredito degli studi classici all'evoluzione della latinità nell'ideale «fascista» di romanità: di qui l'idea che lo studio del passato sia «di destra», diffusa negli ultimi vent’anni e largamente responsabile dello stato di abbandono che i legislatori devono ora fronteggiare. E' significativo, come ha sottolineato il latinista Pretagostini, che a tentare di farlo siano oggi proprio due governi di sinistra. L'idea che il passato sia necessariamente reazionario e di destra, e il progresso di sinistra - ha sostenuto Fumaroli - è una delle false antitesi in cui viviamo e che comportano per la nostra società pericoli gravissimi e oscillazioni violente. E la querelle degli antichi e dei moderni, ha avvertito Fumaroli, è spesso travisata. Ci rendiamo conto sempre più che gli «antichi» di allora non erano affatto dalla parte della nostalgia del passato, ma al contrario erano i più visionari, i precursori del romanticismo. Intanto nell'Europa ex comunista, dove al vuoto lasciato dalle ideologie tende a sostituirsi una ricerca di spiritualità e un ritorno alle idee antiche, il quarto volume della Storia della filosofia antica di Reale, pubblicato in russo a San Pietroburgo, ha esaurito in un solo giorno le 24 mila copie di tiratura. Se nei Paesi dell'Est si profila, dopo quello del nichilismo, lo spettro del consumismo, una nuova offerta di cultura classica può provvedere - e sta provvedendo - a una ricostruzione profonda dell'identità.