Città perno della storia
La ricca esplorazione di Franco Cardini nel tempo e nello spazio: le origini, i domini, lo Stato d’Israele, le guerre... fino al ’49
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Nella primavera del 638 il califfo Umar ibn al-Khattab, successore del Profeta, conquistatore di Gerusalemme, con addosso un umile abito da nomade e un mantello pieno di toppe, entrò su un vecchio cammello nella città che l’islam chiamava e chiama ancora al-Quds: “la santa”. Sul Monte degli Ulivi assicurò il rispetto della vita, del culto e delle proprietà dei cristiani al patriarca Sofronio, che per due anni aveva guidato la resistenza antiaraba. Ma la forza della conquista islamica, allora nel Nordafrica come in seguito nei Balcani, non era solo militare: era anche morale. A fare da volano a quell’espansione irresistibile era stata la conversione spontanea. La tolleranza araba verso chi rimaneva fedele al proprio culto era d’altronde proverbiale e ogni atto, ogni gesto compiuto da Umar in quel giorno di primavera, e riportato concordemente dalle fonti musulmane come cristiane, serviva a sottolinearla. Visitò la basilica bizantina dell’Anastasis, e quando sopraggiunse l’ora della preghiera la recitò fuori dell’edificio, per evitare che i musulmani lo rivendicassero. Si fece accompagnare al Tempio dei giudei e nel vederlo ridotto a un deposito di rifiuti si addolorò e prese a ripulirlo, narrano le fonti, aiutato dai suoi, finché non affiorò la santa roccia del Moria, su cui presto sarebbe sorta, splendente d’oro e di sincretismo architettonico, la Cupola della Roccia, Qubbat as-Sakhra.
L’ingresso di Umar a Gerusalemme è “una delle più belle, commoventi, esemplari pagine della storia del mondo”, scrive nel suo ultimo libro Franco Cardini, storico cattolico, intellettuale anticonformista, critico per vocazione del luogo comune e da anni antagonista del pregiudizio confessionale che, cavalcando da un lato le teorizzazioni neopuritane sullo scontro di civiltà e dall’altro il dilettantismo storico di molti neoconvertiti al cattolicesimo teocon, ha trasformato oggi la millenaria e multiforme esperienza araba in un continuum di intolleranza e jihadismo integralista, addirittura giudicando la religione islamica (così Joseph Ratzinger a Ratisbona) “intrinsecamente violenta”.
Ma Cardini non si limita a questo, nel tracciare in orizzontale e in verticale, in prospettiva e in trasparenza, nel tempo e nello spazio e nello spazio della letteratura e della cultura, la storia e la geostoria di Gerusalemme: dalle origini pregiudaiche all’epopea biblica, dall’impero romano e poi bizantino alle conquiste persiana e araba, alle crociate latine, ai domìni ayyubide, mamelucco, ottomano; e poi, attraverso le vicende del lungo duello austro-ottomano nei Balcani, sullo scacchiere moderno incalzato dagli zar del terzo grande impero erede di Bisanzio, fino a Napoleone, al “great game” vicino-orientale tra le potenze della Santa Alleanza, al Kaiser, all’europeizzazione ottocentesca, al progetto sionista, al sogno arabo, al realismo britannico, alla fondazione dello stato di Israele e a quella “guerra civile tra palestinesi arabi e palestinesi ebrei” che il divenire storico tanto quanto l’imperizia politica dei tutori postcoloniali ha disegnato, nella fantasmagoria di spartizioni e mappe, lungo il secondo Novecento, attraverso le quattro guerre arabo-israeliane, la prima e la seconda Intifada, l’assassinio di Rabin, la passeggiata di Sharon, la misteriosa morte di Arafat, fino alla Barrer che si addentra nel West Bank violando, a tratti, la Linea Verde del ‘49.
Cardini narra a volte in prima persona, ma più spesso attraverso le voci delle fonti che lo storico dell’antichità e del medioevo sa evocare, i testimoni che l’erudito e il letterato sa convocare, i pellegrini e viaggiatori di tutti i tempi, d’oriente e d’occidente, che lo scrittore, in prima persona a sua volta pellegrino e viaggiatore, sa far parlare: da san Girolamo a Chateaubriand, da Tudela a Gogol, da Chesterton a Halbwachs.
Gerusalemme. Una storia non è tanto una storia di Gerusalemme quanto una storia del mondo vista da Gerusalemme, una visione storica insieme realpolitica e mistica che è di fatto una Welthistorie, una “storia mondiale” o, in termini medievistici, una “cronaca universale”, delineata e declinata intorno a quel perno della geostoria e della dialettica politica dove la storia politica si produce “inevitabile come un incidente automobilistico”, per citare Brodskij: “dove la geografia provoca la storia”. Una Gerusalemme calda, radiante come una stella polare intorno a cui ruotano, nel loro moto perpetuo, le costellazioni dell’ideologia, i carri trionfanti o declinanti delle diverse storie, narrate da diverse voci, in diacronie e in sincronie, sotto la specie di diverse fedi, visioni del mondo, strategie; dove qualsiasi storia si produca sembra influenzare direttamente e inevitabilmente la storia del resto del mondo.