Non sono libri? E io li vendo ai non lettori
Maria Campbell ha «importato» in italia i principali bestseller degli ultimi anni. Ma non si fa illusioni sulla missione dell’agente letterario
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Chi è stato alla Buchmesse di Francoforte li ha visti trionfare: sono loro, e non gli editori, i re della Fiera del Libro. Sono loro a scendere negli alberghi di lusso, quelli proprio di fronte alla gigantesca architettura di cristallo che riflette ciò che si può definire, non senza inquietudine, lo stato globale della lettura. Sono loro a entrare per primi, riposati e riveriti, nei padiglioni, mentre gli editori, dai loro piccoli alberghi fuori mano, arrancano nel traffico, magari sui nuovi risciò tirati da giovani teutoni biondi. Sono loro: gli agenti e gli scout internazionali. Regina tra questi re, Maria Campbell, newyorkese di origine italiana, si schermisce - in quanto scout, tiene a precisare, riceve un compenso dagli editori e non una percentuale dagli autori come gli agenti - e sorride con un velo di compatimento a sentire le domande che le poniamo, la nostra angoscia sul futuro del libro, la nostra incertezza, perfino, su cosa sia, oggi, ciò che si vende nelle librerie sotto questo nome.
“Quello degli agenti è un fenomeno antico nel mondo angloamericano, che oggi si è ampliato e globalizzato ma non deve ingannare. In Italia già trent’anni fa era un uomo solo, Eric Linder, a controllare la vendita di tutti i libri sul mercato straniero, specialmente anglosassone. Lui sì era il vero editor-in-chief che decideva il destino degli autori italiani e stranieri. Oggi la situazione è molto più complessa e il potere degli agenti e di noi scout è se mai diminuito, divenuto consultivo e non esecutivo”.
Ma come può dire questo, lei che da sola rappresenta un’intera galassia di colossi editoriali di tutto il mondo e da scout della Mondadori ha contribuito a portare in Italia tutti i grandi best seller, da Ken Follett, Patricia Cornwell, Scott Turow fino a William Styron, E.L. Doctorow, Jeff Eugenides e perfino Dan Brown? Se Eric Linder era il deus ex machina, lei è come Minerva che esce dalla testa di Zeus… E decide cosa sarà o non sarà un successo, ossia, in ultima analisi, ciò che il grande pubblico deve considerare “libro”. Non è una bella responsabilità?
Guardi, alla Mondadori ho imparato anzitutto questo: che l’editoria va da Thomas Mann a Topolino. Sono cresciuta cercando libri buoni in qualsiasi settore, dai manuali di self help alle celebrity biographies, dagli illustrati ai thriller. Sono stata sulle auto della polizia di New York per capire che cosa fa un buon poliziesco, ma ho introdotto in America scrittori di nicchia come Erri De Luca. Non ho pregiudizi, non mi sento onnipotente, il mio è un lavoro di mediazione, tessitura, chiarificazione. Che persegue però sempre la massima pluralità dei generi.
Già, ma come fa le sue scelte? In un mondo in cui i critici letterari sono in via di estinzione se non estinti, in cui è di fatto il successo a decretare la bontà di un libro, non crede che la parte del critico siate voi a farla, a monte? Perché quando dall’alto del vostro prestigio proponete un autore e spingete l’editore che lo acquista a un investimento, quel libro sarà sostenuto dal marketing, dalla distribuzione, dai media, oscurerà gli altri, sarà quasi inevitabilmente un successo.
Magari fosse sempre così! E comunque i miei consigli si basano anche sul gusto dei vari editor e sulla conoscenza dei mercati. Abbiano una catena di informatori e di riferimenti, dal mondo del cinema alle riviste di nicchia agli infiniti gruppi di lettori che monitoriamo in internet o anche fisicamente, viaggiando in tutto il mondo, cercando di capire. Seguiamo gli autori fin dai primi racconti, aspettando anche anni e anni prima che finalmente uno di loro arrivi a scrivere il romanzo di cui c’è bisogno.
Bisogno? C’era bisogno di tanti best-seller a tavolino, che viziano la massa dei lettori, allontanandoli dalla vera letteratura?
Ah, vogliamo parlare fuori dai denti? Allora guardi: di veri lettori, in tutti gli Stati Uniti d’America, ce ne saranno diecimila. E lo stesso vale probabilmente per ciascun paese europeo. Gli altri sono tutti dei non-lettori. E’ a loro che pensiamo, è loro che vogliamo raggiungere.
Dunque a questo mira oggi l’editoria? vendere non-libri a non-lettori?
Guardi che non siamo dei diseducatori, al contrario. I veri lettori sapranno sempre distinguere, avranno sempre i loro editori. Ma si tratta di un’élite, una nicchia che si restringe ogni anno che passa, un pugno di marchi che starebbe in un unico stand. E’ la vendita stessa dei libri che sta morendo, le persone non vanno più in libreria, il mercato cambia e continuerà a cambiare, eppure un punto fermo che distingue questo mercato da ogni altro c’è ed è ben chiaro: presuppone l’atto di leggere, ed è qui che vogliamo portare le masse. Il nostro mestiere è capire come portare la parola in un mondo dominato dalle immagini. Come far compiere quel salto che porta un foglio di carta con dei segni a diventare uno schermo, il più grande degli schermi.
In effetti è un salto di cui i nostri figli, allevati davanti alla tv, computer-dipendenti, sono sempre meno capaci.
Ma invece è indispensabile aiutare loro, e tutti, a compierlo. Sa che in Giappone ora si possono leggere i romanzi sul cellulare? Per non parlare della digitalizzazione, che fra l’altro pone un enorme problema di controllo. Ma per certi versi è un bene: ho visto ora l’ultimo e-book, è eccellente ed è un altro dei sistemi che la nostra civiltà sta escogitando per allenare all’atto della lettura.
In poche parole, secondo lei non siamo dinanzi a una terribile decadenza, ma il carro trionfale della storia sta portando masse alfabetizzate in fondo solo abbastanza di recente alla letteratura?
Sicuramente.
Ma il punto è, di nuovo: quale letteratura? la nostra tradizione europea sopravviverà, sui cellulari scorreranno i classici?
Certo che sì. Gli editori vivono anche della loro backlist, e quindi del passato. Penguin ha appena riproposto i classici, con risultati eccellenti. Ha visto il loro Candide di Voltaire, con quella copertina divertentissima?
No, ma dubito che diventi un best seller.
Non sottovaluti i giovani. Certo, sono prima altri libri a insegnare loro l’atto di leggere. Libri che li catturino, con una scrittura nuova, con innovazioni tecniche in grado di competere con quelle dei media audiovisivi…
Per esempio?
Ho appena trattato due romanzi, che hanno secondo me questi requisiti. Junot Diaz, un americano di Santo Domingo, ha scritto quello che definirei il primo romanzo stereofonico. Una scrittura del tutto nuova, da ascoltare per così dire con l’iPod. Lo aspettavamo da dieci anni, dopo una prima raccolta di racconti. E poi Sacred Games di Vikram Chandra, settecento pagine che ho divorato durante l’asta organizzata dal suo agente a New York: modernissime, da mozzare il fiato, con dentro tutto, complotto, gangster, nucleare, ma anche famiglia, vita quotidiana…. Sarà il nuovo grande romanzo indiano.
Come dicevamo, è lei il critico. Ci spiega in due parole perché ha scelto proprio questi due?
Perché in un mondo in cui la soglia di attenzione è sempre più breve e più bassa e la concentrazione sempre più instabile un libro deve anzitutto soggiogare i meccanismi psichici e nervosi del pubblico. E’ una questione imprescindibile, seria, direi proprio scientifica, un preciso problema di cellule cerebrali, di sinapsi… Ci sono momenti in cui vorrei essere laureata in neurologia. Anzi bisognerà esserlo, per continuare a fare il mio mestiere. Ma io sono solo una povera scout che riesce unicamente a intravedere quale sarà il futuro della lettura.
Quale?
Saranno gli scrittori a decretarlo, deponendo parole in forme sempre più nuove e attraenti per i lettori. E sarà l’atto di leggere che trionferà e ci porterà nel futuro.