Leggere Nottetempo
Ginevra Bompiani con un’altra figlia d’arte, Roberta Einaudi, ha fondato una piccola casa editrice dal nome insolito. Una strada quasi obbligata, se si considerano l’ambiente in cui è cresciuta, le frequentazioni a fianco del padre.
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Milano, un pomeriggio degli anni Sessanta. Nella sede della casa editrice Bompiani di via Senato 16, Michelangelo Antonioni sta girando una scena de La notte, quella del party letterario. Un giovane redattore, Umberto Eco, saluta tutti, anche Jeanne Moreau. E un po' per scherzo, un po’ per non ripetersi, si presenta ogni volta con un nome diverso. Finché si spaccia per il grande filosofo Merleau-Ponty, e la Moreau! lo interrompe: «Merleau-Ponty? Ma è un mio amico!».
Nella stessa scena del film si vede per un attimo un’esile ragazza bionda, È Ginevra Bompiani, la figlia di Valentino, l'editore. Giovanissima, ma è già una scrittrice. La si vede solo di sguincio.
«Fuggivo dalle celebrità, per snobismo e impertinenza, e quindi sono subito scappata via», spiega oggi, tornata sulle orme del padre e diventata editrice con un marchio di culto. ''Nottetempo". Ginevra Bompiani è nata e cresciuta a Milano dove vive nel palazzo di famiglia di via San Primo (con puntate a Roma, dove ha ristrutturato una casa in centro). «Milano - dice - mi è sempre sembrata una bella città. Ma è una città che si vergogna della bellezza. La nasconde nei cortili, nella nebbia. Cosi come si vergogna della parola. Per esempio degli aggettivi. E senza aggettivi, dov’è la bellezza?». Però, negli anni Sessanta. Milano era più viva. Era la città degli incontri. «A vent’anni ho incontrato Calvino.
Ricordo certe discussioni con Eco a casa di Luciano Berio, dove mi aveva portato Furio Colombo, sulla superiorità del cane o del gatto. Calvino difendeva il cane, Eco sosteneva la “gattità del cosmo”. E poi c'erano i Piovene, i Guttuso. Anche se adesso tutti sembrano essersene dimenticati, c’erano le comuni. Quella di via Sirtori, per esempio, frequentata da Nani Filippini, Erica e Giairo Daghini, Guido Neri, Fleur Jaeggy, Andrea Bonomi, sotto l’ala del fenomenologo Enzo Paci».
In quegli anni Ginevra diresse una collana che divenne memorabile, forse anche per influsso del sodalizio con il marito, il filosofo Giorgio Agamben. «Sì, la feci da cima a fondo, tornando da Parigi. Si chiamava Pesanervi. E Johnny Wilcock diceva: “Ginevra dirige il Pesanervi. Giorgio dirige Ginevra". Non del tutto sbagliato».
Milano e i libri, gli intellettuali e le librerie, in un intreccio continuo. «Il primo anno in cui lavoravo alla Bompiani, uscendo la sera, andavo alla libreria Einaudi di Aldrovandi. Lì capitavano scrittori, capitava Arpino, capitava Vigorelli. Si chiacchierava prima di cena. Una sera poi finimmo tutti a ballare».
Oggi è tutto cambiato: «La Milano di ora è una Milano sedata, senza fermenti, il mio quartiere, dove sono nata e cresciuta, ormai è fatto di costosissime boutique. Sembra che si viva solo di vestiti. Non è contemplato altro». E la famosa vita serale milanese è più che altro mitologia: «Le serate sono tranquille e noiose. Il solo guizzo di vita è dato, ora come allora, dagli adulteri. Nessun fermento politico o letterario, niente ironia». E sembra, addirittura, che le grandi case editrici non attraggano più energie intellettuali come ai tempi di cui ci ha raccontato: «Esistono ancora, certo, ma non ci sono più gli editori, salvo pochissimi».
Non è un caso, forse, che in questo contesto nasca Nottetempo. Due donne. Ginevra Bompiani e Roberta Einaudi, eredi di due grandi case editrici raffinate e indipendenti, poi entrambe inghiottite dai due colossi dell'editoria commerciale, Rizzoli e Mondadori, hanno deciso di dare vita a una piccola struttura, anch’essa indipendente e politicamente orientata.
Ginevra e Roberta hanno trovato la collaborazione del mondo intellettuale milanese. Un guru come Pierluigi Cerri ne cura la grafica, Achille e Luciano Mauri si occupano rispettivamente del sito Web e della distribuzione. Maria Pace Ottieri è autrice e traduttrice.
Ginevra racconta perché, a distanza di tanti anni, dopo una brillante carriera di scrittrice cosmopolita e di docente universitaria, ha deciso di tornare a Milano e all’editoria. «L’idea è nata una sera, al Piccolo Teatro dove, con la regia di Andrée-Ruth Shammah, si festeggiava il centenario di mio padre. In quella serata, a sentire parlare di lui dalla platea, mi è sembrato molto simpatico e mi ha fatto ridere. Rientrare nell'editoria è diventato emotivamente possibile».
C’è da domandarsi come mai le due fondatrici di Nottetempo non l’abbiano chiamata con i loro nomi, cosi evocativi. «Perché non abbiamo pensato a Bompiani e/o Einaudi? Non ci è mai venuto in mente. La Bompiani e l'Einaudi sono quelle, grandi e storiche. Faremmo ridere prima di tutto noi stesse: Nottetempo, minuscola, non ci pensa nemmeno a gareggiare. Può darsi che si nutra un po’ di nostalgia. Ma credo soprattutto che si giovi del piacere onnifacente che si prova in una piccola casa editrice».
Una scelta comunque controcorrente in una città definita protestante, in cui il denaro non è solo simbolo di successo ma anche un valore dominante. E in un ambiente dominato dalla grande editoria. «Conservo un’intervista che mio padre diede a Guido Vergani, in cui parla dei grandi editori del passato, Mondadori, Rizzoli, e di come sia cambiato questo mondo. È del 1980, ma risulta assolutamente attuale: il ruolo degli agenti, l’evoluzione delle case editrici, i megagruppi, le catene di librerie, e così via. Trasformazioni che lui presentiva, e che sono sotto gli occhi di tutti. Il mestiere dell’editore oggi lo fa il piccolo editore, che vive di amore e tremore. La scommessa è riuscire a sopravvivere restando piccoli. Qualche San Valentino ci aiuterà».
Una scommessa da vincere puntando su una formula innovativa. «Siamo dei resistenti. Puntiamo alla leggibilità, che non è sinonimo di facilità o volgarizzazione. Pubblichiamo un libro di Agamben, molto impor-tante, e tutto leggibile! E libri di Derrida, Nancy, Steiner che hanno questa caratteristica. Ci piacciono i romanzi che si possono divorare o centellinare, a piacere: da Stevenson a Toussaint, da Dickens a Larkin, dai romanzi di Maria Pace Ottieri ai racconti di Fabrizia Ramondino».
La conversazione volge al termine, il pensiero torna sempre a Milano. «Se avessi potere assoluto, e non mi ripugnerebbe affatto, toglierei le automobili, non una domenica su quattro ma sempre, sostituendole con autobus e taxi collettivi, e potenzierei i servizi che già funzionano la sera. E bandirei quegli orribili panettoni di cemento che ingombrano le strade. Metterei qua e là delle panchine, perché bisogna pensare ai vecchi, che si stancano. Pianterei alberi nelle strade più larghe. Aiuterei i piccoli negozi, alimentari e altri, nel centro, favorendo la diversificazione dei commerci. E proibirei le sirene di allarme alle automobili e tutti i rumori inutili».
Tante cose detestabili. Ma Milano rimane bella. E non è un paradosso: «Oh, sì. La trovo ancora bella. Amo i Giardini pubblici, la Villa Reale, via Palestro, i Boschetti. Da piccola la mia tata coglieva un’erba nella ringhiera della Villa Reale, e la strofinava sulle verruche per farle andar via. Me ne guarì una sul ginocchio. Ancora adesso, passando, cerco con gli occhi quell’erba».
Ginevra sfoglia le ultime pagine dell’album dei ricordi. Emerge il suo rapporto complesso con la sua città. «Da bambina venivo sempre spedita lontano perché non sopportavo l’aria viziata. In seguito, da ragazza, scappai io. Per cui Milano l'ho vissuta soprattutto da adolescente. Ricordo le serate in casa, caratterizzate da mio padre. Me ne viene in mente una, famosa, in cui Guido Vergani ruppe una preziosa statua in legno dorato raffigurante l'Europa. Eco cercava di distrarre mio padre perché non se ne accorgesse, ma lui si mise a parlare dell'Europa, appunto, e di come si fosse ormai spezzata: "L’Europa è spezzata in due!", proclamò, nel panico generale».
Ginevra Bompiani ha conosciuto molte Milano diverse, dunque: quella dell’infanzia, quella dell’adolescenza e della giovinezza, quella in cui è tornata oggi. «Non c’è più la stessa atmosfera. Non c’è più comunità politica, e nemmeno letteraria. Ci sono solo star, come mostrano i festival della letteratura o della filosofia». Come mai? «Cose e persone non circolano. Stanno ferme, come in una palude». E gli scrittori? «Sono nascosti in casa. I soli luoghi d'incontro sono i centri sociali, ma anche per quelli bisogna essere aggiornati: a nominare il Leoncavallo c’è da farsi trattare da nonna».