Se unione fa rima con Rivoluzione...
...francese, è chiaro. Non ha dubbi il più celebre dei medievisti contemporanei secondo il quale è quell'evento «con gli sforzi del XIX e del XX secolo in direzione della democrazia, a definire l'aspetto politico dell’Europa»
Articolo disponibile in PDF
La grande Europa, tanto auspicata e infine ora quasi del tutto realizzata, supera i limiti dell’Occidente per includere Stati sorti sui territori già dominio dell’Impero di Bisanzio, dai Balcani alla Russia, che ha creato una vasta zona d’influenza e di irradiazione culturale su tutta l'Europa dell’Est. Dalla dissoluzione dell’Urss quei territori sono in grande sommovimento etnico e trasformazione politica. Per comprendere il senso di questi problemi la conoscenza della storia e della mentalità del millennio bizantino è assolutamente indispensabile», ha scritto Peter Schreiner, il grande storico tedesco del Medioevo orientale.
Ma che cosa pensa di questo problema uno storico del Medioevo occidentale, anzi il più celebre dei medievisti contemporanei. Jacques Le Goff? Pensa esattamente il contrario. Sostenendo che i momenti storici determinanti per definire l'Europa sono altri, riconducibili unicamente all’Occidente, a partire dall’elaborazione del diritto romano fino al culmine della Rivoluzione francese.
Le Goff ha dedicato pagine fondamentali e notissime alla riflessione sulle radici dell'Europa. Dirige la collana "Fare l'Europa", una serie di saggi scritti da grandi storici, pubblicati in Italia da Laterza e da case editrici di diversi Paesi europei.
Se gli domandiamo qual è la sua opinione sulla Nuova Europa, quella già fatta e quella ancora in fieri, allargata ai Paesi slavi e balcanici e presto perfino alla Turchia, se è veramente europea l’eredità degli Stati che la stanno dilatando sino al limite orientale della sua definizione storica e geografica. Le Goff ride: «La frontiera orientale dell'Europa non è mai stata definita risponde provocatorio, paradossale e iconoclasta come solo i grandi intellettuali sanno essere e continua a non esserlo. La frontiera orientale dell'Europa è stata costantemente minacciata».
Da che cosa?
Dalla separazione tra Cristianesimo latino e Cristianesimo greco ortodosso.
Si riferisce allo scisma del 1054 tra le due Chiese?
Mi riferisco in generale all’Impero bizantino.
Ma l'identità geografica della Nuova Europa non corrisponde forse alle irradiazioni dell'Impero romano, perpetuate in quella sua millenaria continuazione che fu l'Impero di Bisanzio?
In ciò che anche Fernand Braudel definì «Mediterraneo maggiore»?
La nozione braudeliana di «Grande modernità» mi sembra sia stata più che altro uno strumento di lotta intellettuale contro la storia politica. E un concetto che presuppone in primo luogo una supremazia della geografia, e questa invece ha, a mio avviso, soltanto un posto secondario nella storia dell'Europa. È un concetto che presuppone inoltre un primato mediterraneo, che non esiste più dalla caduta dell'Impero romano.
Ma allora qual è nel passato il momento cruciale per la politica e la geopolitica contemporanee?
L'Europa attuale ha preso a prestito dei tratti fondamentali dalla geografia, ma l'azione della storia europea sulla geografia ha avuto come conseguenza quella di fare della sponda settentrionale del Mediterraneo la frontiera meridionale dell'Europa.
Verrebbe paradossalmente il dubbio che lei escluda dall'Europa la Grecia e l’Italia... Che l’Europa per lei coincida solo con la Francia...
Le radici storiche dell'Europa sono geografiche e culturali, ma quel che conta è l’aspetto politico. E nella storia l’aspetto politico dell'Europa mi sembra sia stato essenzialmente definito dalla Rivoluzione francese e dagli sforzi del XIX e XX secolo in direzione della democrazia.
Ma le radici della democrazia non sono nell'antica Grecia?
Sì, prima c’è stata la nozione di democrazia proposta dall'antichità greca. Democrazia molto imperfetta, di cui parla fra le altre cose Luciano Canfora nel libro sulla democrazia europea in corso di pubblicazione all'interno della collana “Fare l’Europa", che ho l’onore di dirigere. Ma soprattutto c’è stato il concetto di “unità nella diversità" dato dal cristianesimo.
Unità? Ma i conflitti etnici in Serbia, Bosnia. Kosovo non sono forse un'eredità di una politica religiosa medievale tutt’altro che tollerante e unitaria? Del proselitismo cattolico del Milledue-Milletre-Millequattrocento nei territori ortodossi, peraltro mai finito?
Nel Medioevo, se è vero che il papa e l’imperatore erano solo figure di facciata, in ogni caso il papato agiva nella direzione di una lotta contro i conflitti tra cristiani.
Lei ripropone una storia medievale romanocentrica, riducendo il ruolo di Bisanzio a quello di avversario della Chiesa di Roma.
L'Impero bizantino è stato una minaccia gravissima per l'Europa. Bisogna riconoscere, anzi, che la caduta di Costantinopoli nel 1453 è stata paradossalmente una condizione per la futura unità dell'Europa. Ciò detto, l’Europa ortodossa dell’Est fa parte dell’Europa quale è stata definita al momento del radicarsi del cristianesimo non ancora diviso in due nell’Alto Medioevo.
Non c'è niente da fare, lei è un antibizantino convinto. E allora, in base a questa prospettiva storica cosi filoccidentale, che cosa fa parte dell'Europa e che cosa no?
In questa prospettiva, la Russia fa parte dell’Europa, la Turchia non ne fa parte, ma si può prevedere che l'Europa unita stabilisca un accordo privilegiato con la Turchia.
E le altre zone calde del mondo di oggi, dal Caucaso all'Afghanistan? Si possono considerare, anche se latamente, un problema "europeo”, in base al concetto di Mediterraneo maggiore o, addirittura, in base a un concetto di "Mediterraneo globale" recentemente invocato da alcuni storici? Il fatto che l'Europa se ne occupi cosi attivamente, del resto, non lo indica?
Se i problemi dei Balcani fanno parte dei problemi dell'Europa, quelli dei Paesi dal Caucaso all'Afghanistan non ne fanno parte. Una volta di più, il concetto di Grande Mediterraneo o di Mediterraneo globale mi sembra uno dei momenti caduchi della storiografia, ammesso che sia stato mai pertinente.
Ma allora non vede qualche confusione nella gestione della politica dell'Europa unita?
Sono nell’insieme soddisfatto dell’attività della Commissione europea di Bruxelles. Ha fatto progredire considerevolmente l’Europa, e nella direzione giusta.
Perché anche la Nuova Europa allargata ai Paesi di ex oltrecortina vada nella direzione giusta, quali princìpi suggerirebbe alla Commissione europea?
Deve, mi sembra, avere presenti due grandi principi per orientare la sua attività. Il primo è quello di rispettare la fisionomia storica delle Nazioni. L'Europa abbozzata nel Medioevo è al tempo stesso un’Europa unita e un’Europa delle Nazioni, e i due concetti non sono contraddittori, anche se vi sono dei conflitti. Si tratta dunque di operare nel senso, che si diceva sopra, di un'unità nella diversità.
E il secondo principio?
Il secondo principio è quello del carattere democratico delle istituzioni europee. Bisogna quindi che vi sia un migliore coordinamento tra la Commissione di Bruxelles e il Parlamento di Strasburgo. Inoltre, la Commissione di Bruxelles deve essere ancora più sensibile agli stati d’animo della base degli europei.
Concretamente, come comunicare questi principi ai politici di Bruxelles?
Mi sembra che questa prospettiva storica e questi principi siano illustrati dalle opere della mia collana "Fare l'Europa”. E, mi pare, confortati dal prossimo volume, in corso di pubblicazione, sul diritto nella storia europea. A questo riguardo, va detto che il divenire storico ha rafforzato le basi giuridiche dell'Europa, facendo emergere, in particolare, la nozione di stato di diritto.
Dunque, riassumendo, quali sono i tratti storici essenziali che secondo lei definiscono l'Europa?
In questa prospettiva, tre sono i momenti essenziali della storia propriamente europea: primo, l’antichità, con l'elaborazione del diritto romano; secondo, il Medioevo, con la stesura dei diversi diritti: diritto romano rinascente e adattato, diritto canonico, diritto orale messo per iscritto; terzo, la Rivoluzione francese e le sue derive europee che hanno proposto la nozione di Diritti dell'uomo.
Un messaggio diretto ai governanti e ai parlamentari sulla Costituzione europea, che si è impantanata...
L'elaborazione di una Carta nella quale la donna abbia parità di diritti rispetto all'uomo mi parrebbe uno dei compiti evidenti delle istituzioni europee. Un’evoluzione in questo senso è già cominciata, ma è ben lontana dall'essere portata a compimento.