Vuoi ribellarti all'autorità? Fai il pettegolo
Incontro con Bruce Lincoln, il più famoso antropologo americano, studioso delle religioni e dei comportamenti sociali
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«L’autorità non è uno status ma una suggestione, che induce ad ascoltare con venerazione, docilità e obbedienza il discorso di un governante, un esperto, un genitore, a prescindere dal suo contenuto o dalla sua qualità. L'autorità porta la gente a agire come se fosse persuasa, anche se non lo è non capisce realmente ciò che viene detto. In un certo senso, l'autorità è il contrario della persuasione, che nasce dalla razionalità degli argomenti, mentre qui a contare sono credenziali esterne e ineffabili»: a parlare è Bruce Lincoln, il più celebre antropologo americano, studioso delle diverse società, antichista e storico delle religioni nonché successore di Mircea Eliade alla Chicago University. Il suo ultimo libro, L'autorità, da pochi giorni uscito per Einaudi, con un saggio di Maurizio Bellini (199 pp., £ 30.000), parte dal discorso politico antico, dall'assemblea omerica e dalle lotte del cesarismo, per arrivare ai dilemmi del Novecento. Lo abbiamo intervistato all'Università di Siena, dove ha tenuto una conferenza presso il Centro Antropologia e Mondo Antico.
Come si applica la sua teoria dell'autorità al «secolo breve» appena concluso?
«I più terrificanti sviluppi del Novecento sono il prodotto di ideologie e tecnologie che hanno reso le masse sempre più acquiescenti verso chi esercita l'autorità. Uno dei più noti tentativi di spiegare gli orrori e le tragedie del secolo è la discussione di Hannah Arendt sul 'totalitarismo', lanciata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e imperniata sui casi della Germania nazista e dell'Unione Sovietica, messi sullo stesso piano e anzi praticamente considerati un unico fenomeno. Ma io preferisco l'analisi di Theodor Adorno, che parlava invece di “autoritarismo” e vedeva tendenze simili nelle democrazie occidentali, in particolare nella crescente disposizione delle masse a lasciarsi suggestionare dall'autorità. La sua critica è più vasta, più profonda, più consapevole, meno condizionata dagli schieramenti della Guerra Fredda e anche più fondata sui dati empirici».
La Arendt sosteneva invece che l'autorità è scomparsa dal mondo moderno, a causa dei mutati rapporti fra autorità e religione e fra autorità e tradizione.
«La trovo reazionaria. E’ un caso di nostalgia per un paradiso perduto falso e immaginario. Il mutuo rapporto fra religione, tradizione e autorità può essere certo una ricetta di stabilità. Ma si tratta di una stabilità verso la quale avrei parecchio da obiettare, ottusa, restrittiva, tronfia e oppressiva. Non è certo un sistema che mi piacerebbe vedere ricostituito».
E cosa pensa dei processi di negazione dal basso dall'autorità, oggi amplificati dai media, spesso inclini al pettegolezzo e alla maldicenza?
«Il loro scopo è livellare il campo da gioco e ripristinare una base di discussione più egualitaria ricordando al pubblico la natura prosaicamente umana di chi è in posizione di autorità. E’ la strategia dei deboli, adottata con particolare abilità dalle donne e da altri gruppi per consuetudine tagliati fuori dall’opportunità di esprimersi con prestigio. Quando i forti usano l'autorità, i deboli usano il pettegolezzo. E in un'era in cui le armi di suggestione dei potenti sono cresciute esponenzialmente, quelle dei deboli si sono adeguate, via Internet e attraverso gli altri media».
«Ogni autorità è in un'ultima analisi l'autorità della comunicazione», dice Cari J. Friedrich nell'epigrafe del suo libro. Se i media a volte contribuiscono a smascherare l'autorità, non possono oggi anche amplificarne la seduzione e perfino facilitarne la trasformazione in violenza?
«Il punto è: chi ha accesso alle tecnologie che permettono di disseminare il discorso a più ampio raggio? Si tratti dello scettro che dava diritto di parola in assemblea agli eroi omerici o di un invito in televisione, ciò che conta è come viene presentato chi parla. Nel caso dei media, e di chi li controlla, la domanda è: il pubblico viene incoraggiato a rispettare e accettare i pronunciamenti critici? Le luci, le inquadrature della telecamera, la qualità del suono possono incidere in modo incredibile, così come l'atteggiamento dell'intervistatore. Più sofisticato è il grado di tecnologia, più potere ha il mezzo di comunicazione di aumentare o demolire l'autorità di qualsiasi individuo.»