La maternità? E' trasgressiva
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La sterilità non è certo un dramma dell’era contemporanea. Da sempre la specie si è scontrata con questa “mancanza”. Ma che cosa avrebbero pensato, i greci e i romani, della procreazione assistita? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Bettini, fondatore del Centro studi antropologici sulla cultura antica dell’Università di Siena e autore di Nascere (Einaudi, pagg. 423, 38.000 lire), un’esplorazione dell’esperienza del parto, dei suoi significati, simboli e modi, ma anche delle scelte femminili che li riguardano. «Entrambi ne avrebbero pensato un gran male» risponde «come di tutto ciò che metteva il corpo della donna fuori dal controllo dei maschi che “legalmente” detenevano autorità su di lei. Che mondo poteva essere -avrebbero detto - quello in cui le donne concepissero senza bisogno dei maschi? Un mondo alla rovescia».
Professor Bettini, com'è stato affrontato ai primordi della nostra cultura il nascere e il far nascere?
Credo che se ne percepisse in primo luogo la componente drammatica. Dal mondo degli dèi e dei miti greci provengono storie di madri che si trovano a generare in situazioni di rischio e di minaccia. Rea partorisce bambini a un marito, Crono, che immediatamente li inghiotte. Latona è sola e perseguitata nell'isola di Delo mentre fa nascere Apollo e Artemide. E ad Alcmena, che sta per mettere al mondo Eracle, Era cerca di bloccare a tutti i costi il parto...
E' proprio da questa madre-eroina, Alcmena, e dall'ostilità verso il suo parto che il libro prende le mosse. Come si placavano le divinità dinanzi alla trasgressiva onnipotenza femminile — quasi una sorta di hybris — nel concepire la vita?
In Grecia la donna che partoriva rivolgeva voti e preghiere ad Artemide, cosa davvero molto singolare, perché era la dea vergine per eccellenza, la più lontana dalla maternità e dalla sessualità. Sappiamo che quando si accorgeva di essere incinta la donna greca “chiedeva scusa” a questa dea, per il fatto di non essere più vergine. Ho sempre pensato che questa curiosa situazione religiosa — avere come protettrice del parto una dea con la quale bisogna scusarsi per averlo concepito — costituisse la spia di una vera e propria contraddizione sociale ed esistenziale. Come se quel ruolo di ‘madre’, cui la società tradizionalmente destinava la donna, avesse in sé, contemporaneamente, qualcosa di impuro e trasgressivo.
E l'eventuale interruzione della gravidanza? Cosa pensavano i greci e i romani dell'aborto?
L'aborto è sempre stato praticato nelle società antiche, e contemporaneamente riprovato. Questa condanna però non era fondata su motivazioni etiche o religiose, come accade nelle società moderne. Le società antiche avevano ben poco rispetto per i diritti del bambino, anche di quello già nato. Per esempio, il capo della famiglia aveva il diritto di abbandonare dove voleva il figlio indesiderato: come Edipo, “esposto” dal padre sul monte Citerone. Nel caso dell'aborto, però, la situazione che si prospettava era del tutto diversa. In questo caso era la donna che, in segreto e all'insaputa del marito, prendeva una decisione che riguardava il futuro della stirpe. Si potrebbe dire che il conflitto sull'aborto nascesse allora più per il controllo del corpo della moglie — che il marito rivendicava a sé e che la donna, abortendo, gli sottraeva — che non per la tutela del nascituro.
E la sterilità, allora, com'era vista?
Era un male per lo stesso motivo per cui lo era l'aborto: perché privava la famiglia, rappresentata dal suo capo, della possibilità di avere una stirpe.
Cosa avrebbero pensato, allora, i greci e i romani della procreazione assistita?
Entrambi ne avrebbero pensato un gran male: come di tutto ciò che metteva il corpo della donna fuori dal controllo dei maschi che ‘legalmente’ detenevano autorità su di lei. Che mondo poteva essere — avrebbero detto — quello in cui le donne concepissero senza bisogno dei maschi? Un mondo alla rovescia.
Nella tradizione della misoginia di tutti i tempi la connotazione della femminilità ‘inquietante’, oltre alla stregoneria, è la lascivia, l'eccesso cioè di desiderio sessuale. Questi due aspetti della femminilità hanno un posto nella storia del far nascere?
Nel mio libro cerco proprio di percorrere queste piste che lei indica, e in un modo che si è rivelato inaspettatamente molto produttivo: seguendo le tracce di un animale che da sempre viene identificato come l'equivalente della creatura femminile umana, tant'è vero che anche in italiano lo chiamiamo “donnola”, cioè “piccola donna”. Questo animale aiuta Alcmena a partorire, nel mito della nascita di Eracle di cui parlavamo all'inizio. Approfondendo i suoi significati simbolici, nel folclore e nelle credenze antiche, si scopre che della “donna” possiede tutte le caratteristiche stereotipe nella tradizione della misoginia: è molto lasciva, è strega, ama farsi vezzeggiare e soprattutto, essendo agile e flessuosa, ha la capacità di ‘sgusciare fuori’ da ogni situazione o regola.
Le donne avevano modi per sottrarsi al controllo maschile del loro corpo? Per superare la sterilità, ad esempio, esistevano tecniche determinate e gestite esclusivamente da loro?
La tradizione antica è ricca di rimedi per superare la sterilità e la cosa rilevante è che questa ‘medicina per le donne’, pur facendo parte degli scritti attribuiti a Ippocrate, sembra in gran parte provenire dal serbatoio di una sapienza specificamente femminile. Naturalmente la maggior parte di queste ricette e pratiche appare ai nostri occhi di carattere ‘superstizioso’. Ma il fatto è che furono i maschi a registrarle e a tramandarcele: spesso, senza realmente decifrarle.
E c'erano pratiche per sottrarsi, invece, alla fertilità e alla procreazione?
C'erano — eccome — gli anticoncezionali e i preparati abortivi. E poi le tipiche ‘astuzie’ delle donne per non concepire, come quelle di cui parla Lucrezio riguardo alle cortigiane. Ma, a proposito di astuzia, vorrei ricordare che non a caso la ‘donna astuta’ per antonomasia, in molte lingue e culture, comprese quelle antiche, è la levatrice. Essendo il parto una delle pochissime pratiche sociali riservate esclusivamente alle donne, il mondo maschile aveva grande timore di questa figura di ‘assistente alla procreazione’ — o alla mancata procreazione —, costantemente sospettata di interventi indebiti. Nel corso dei secoli, verrà tacciata di stregoneria: come scrive il Malleus maleficarum, il famigerato manuale usato per la caccia alle streghe nel Rinascimento, “nessuna donna provoca maggior danno alla fede cattolica della levatrice”.
In conclusione, che cosa ci dice la sua ricerca dell'autodeterminazione femminile riguardo al far nascere?
Che questa autodeterminazione si trova ad affrontare un insieme di modelli antropologici molto antichi e complessi, che hanno radici nei campi più diversi della cultura. Dalle regole — maschili — che riguardano il buon andamento della famiglia, al terrore per tutto ciò che è considerato contrario alla natura. Dai pregiudizi secolari di cui il mondo della procreazione è circondato, alla necessità di mantenere comunque vivo qualcosa che da sempre fa parte della procreazione: il rapporto fra uomo e donna.