Bisanzio? Ci fa capire l'Occidente di oggi
Incontro con lo storico Gilbert Dagron, grande studioso dei rapporti tra fede e ideologie
Articolo disponibile in PDF
Nei Fratelli Karamazov Dostoevskij fa negare proprio a Ivan Karamazov, l'intellettuale rivoluzionario e laico, il principio della separazione fra Stato e Chiesa, ma il nuovo secolo vedrà l'elevazione a Chiesa dello Stato stesso. Così Dostoevskij prefigura la Grande Utopia che poco dopo - siamo negli Anni 70 e 80 dell'Ottocento - si sarebbe realizzata in Russia come socialismo. E' Gilbert Dagron a citare i Karamazov - il più bizantino, scrive, dei romanzi di Dostoevskij - nel suo ultimo libro, Empereur et prétre. Etude sur le «césaropapisme» byzantin (Gallimard) da poco uscito in Francia, che fra breve verrà tradotto in Italia. Accademico di Francia, da molti anni cattedratico e oggi rettore del Collège de France, presidente del Bureau internazionale dei bizantinisti, Dagron è unanimemente considerato il massimo tra gli studiosi di Bisanzio. Ma, soprattutto, è uno storico delle costruzioni ideologiche, un osservatore degli antichi simboli e miti politici che, originati a Bisanzio, maturati nella Russia zarista, colpiscono coi loro riflessi l'immaginazione dell'Occidente moderno spesso senza che se ne individui l'origine. Testimone disincantato e diretto della fase sovietica nel periodo trascorso come diplomatico a Mosca, Dagron è stato interlocutore di intellettuali formati all'ideologia marxista, da Sartre a Kazhdan, lo storico di Bisanzio perseguitato come dissidente, del quale lui stesso, negli Anni 70, favorì la fuga dall'Urss. Dagron non è quindi un bizantinista rivolto come molti antichisti esclusivamente al passato, ma guidato da una profonda attenzione al presente. Tutti i libri di Dagron, che Einaudi ha iniziato a tradurre in Italia, indagano con minuzia i contorni sommersi della superpotenza del Medioevo, l'enigma della formula multinazionale, il rapporto tra i dogmi della religione di Stato e le forme dell'autocrazia, i misteri e i cerimoniali politici della sua capitale, la città di Costantino, l'imperatore romano che per primo assunse poteri sacerdotali cristiani. Ma, ciò facendo, additano anche la deriva degli antichi archetipi del cesaropapismo, nella nostra cultura politica. Su questi temi abbiamo interrogato l'autore, che oggi pomeriggio, alle 15, presenterà il suo libro nell'Aula Magna dell'Università, per l'inaugurazione dei «Lunedì della Peterson».
Professor Dagron, dice il Vangelo di Matteo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Ma, coi suoi (re-sacerdoti» e i suoi «papi-re», la storia del cristianesimo non lo contraddice?
«Sul rapporto Stato-Chiesa il cristianesimo storico è forse in contraddizione con quello evangelico. Ma ciò dipende dal fatto che è divenuto religione ufficiale e non perseguitata solo molto dopo il suo insorgere nell'Impero Romano. E' normale che Cristo, alla sua epoca, avesse una visione diversa da quella dei papi e dei patriarchi del Medioevo. E che oggi si torni alla separazione tra il religioso e il politico».
Nella religione giudaica e in quella islamica vi è un sincronismo perfetto fra rivelazione religiosa e organizzazione politica. Cosa ha reso così controversa quest'identità nel cristianesimo?
«Il cristianesimo non ha creato un modello di Stato cristiano. Ha cristianizzato le strutture politiche, sociali e culturali già esistenti. E' stato un enorme vantaggio: questa religione di origine giudaica, assumendo il controllo dello Stato romano ha cessato di identificarsi con un popolo o un Paese ed è divenuta multirazziale e universale, ciò che non è il giudaismo e l'Islam è solo in teoria. Ma è stato anche un inconveniente: la religione originaria si è ritrovata contaminata da ogni sorta di elementi provenienti da tradizioni estranee e "pagane".
Lei scrive: ogni integralismo stabilisce una Chiesa-Stato, ogni ideologia totalitaria uno Stato-Chiesa. Dunque il problema riguarda anche le ideologie?
«La religione è il contrario dell'ideologia e sul problema dei rapporti fra Stato e Chiesa religioni e ideologie hanno posizioni opposte, ma simmetriche. Lo ha capito bene Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, dove sviluppa parallelamente il punto di vista di un mistico ortodosso, che sogna una Chiesa trionfante e inglobante lo Stato, e quello di un rivoluzionario socialista e ateo, che vuole dare allo Stato il diritto di costrizione morale normalmente spettante alla Chiesa. La Chiesa-Stato è l'integralismo religioso, lo Stato-Chiesa è il totalitarismo. Due malattie ugualmente mortali».
Le derive ideologiche dello Stato-Chiesa possono rintracciarsi, nel nostro secolo, nel comunismo reale, oggi appena crollato?
«L'espressione "comunismo reale" mi sembra polemica: parlerei solo del comunismo sovietico. In quest'ultimo caso, è vero che vi si ritrovano fino alla caricatura le derive dello Stato-Chiesa: sotto forme anodine, come il culto di "san Lenin"; sotto forme gravi, come la privazione della libertà di pensiero e la denuncia di "eresie" politiche; o sotto forme atroci, come l’"inquisizione" di polizia, le condanne a morte e i campi di sterminio. Tutte queste derive ideologiche possono tradursi in metafore religiose. Sono soltanto metafore».