Parità uomo-donna: un problema per la Chiesa?
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Cara Fiorenza,
la "Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell'uomo e della donna" del cardinale Ratzinger ribadisce un anatema antico. Si legge nel Vangelo apocrifo di Tommaso: «Pietro disse loro: "Maria si allontani da noi, poiché le donne non sono degne della Vita!". Gesù disse: "Ecco, io la trarrò a me per renderla maschio, perché anche lei divenga uno spirito vivo simile a voi maschi. Perché ogni femmina che diventerà maschio entrerà nel Regno dei Cieli"». Nell'antichità la corrente gnostica del cristianesimo e nel medioevo i catari prevedevano la partecipazione delle donne al sacerdozio. Il che fu sempre considerato eretico dalla Chiesa ufficiale.
Quest'accusa di eresia è ora rivolta, cara Fiorenza, alla cosiddetta ideologia di genere (gender), secondo cui l'essere maschio o femmina non è un fatto di natura ma di cultura. Si diventa "maschio" quando ci si emancipa, proprio come nel Vangelo di Tommaso. Alla libertà di far prevalere nelle scelte di vita la parte maschile o femminile di sé, al di là del proprio sesso. Ratzinger contrappone una discriminazione deterministica del ruolo della donna. Ferma restando la sua pari dignità, la sua vocazione prioritaria è la famiglia.
Dietro il messaggio di Ratzinger c'è soprattutto un problema ecclesiastico e teologico. L'emancipazione della donna, compiuta nel Secolo Breve, e la sua parità di ruoli rispetto all'uomo sono un dato di fatto» davanti al quale la Chiesa non sa come giustificare il suo persistente rifiuto del sacerdozio femminile. La lettera pone premesse tanto indiscutibili da essere ovvie ("La donna non è una copia dell'uomo"), ma ne trae conseguenze inaccettabili ("La donna non può fare le stesse scelte dell'uomo"), in una società come quella occidentale in cui parità e uguaglianza coincidono. In questo, non siamo noi ad avere un problema, ma la Chiesa.