“Non toccate i nostri fedeli ”
La nuova chiesa ortodossa di Bartholomeos I, Patriarca di Costantinopoli a Roma
Articolo disponibile in PDF
Sotto la lunga barba bianca il sorriso di Bartholomeos I, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, è soavemente ironico. Gli occhi azzurri scintillano d'intelligenza sotto il velo nero che gli scende dal capo. E' un uomo di cultura. Non ha studiato solo alla Chalké, la gloriosa, antichissima scuola teologica di Costantinopoli, ma a Roma, al severo e illuminato Pontificio Istituto Orientale, dove ha ricevuto una formazione d'altri tempi: letteraria, classicistica e bizantinistica, e soprattutto storica. Per i libri di storia ha una passione. Li raccoglie e classifica maniacalmente nella sua biblioteca personale. Ama anche i grandi classici dell'Ottocento, Tolstoj, Dostoevskij, Balzac. Bartholomeos è uno di noi. Ma è anche, e soprattutto, un capo religioso e politico abile e potente. Dal suo seggio al Panario, il patriarca di Costantinopoli regna spiritualmente su 300 milioni di fedeli. E la Caritas ha appena annunciato che l'Ortodossia è la terza religione in Italia, e porta con sé un tipo di spiritualità sempre più attraente, nella decadenza delle confessioni occidentali. Dopo il modernismo del concilio, l'abolizione del latino dalla messa, la quasi estinzione dell'antico canto liturgico, l'inseguimento accanito della popolarità mediatica, è rimasta di fatto solo l'ortodossia a offrire all’interno del cristianesimo una dimensione mistica e insieme estetica pressoché intatta. Una dimensione quanto mai evidente nella solenne liturgia greco-bizantina, guidata da Bartholomeos, con cui è stata celebrata giovedì mattina la concessione della chiesa di San Teodoro al Palatino al culto dei greci ortodossi.
Nel 1204 i crociati, oltre a infinite violenze contro gli abitanti di Costantinopoli, ne perpetrarono una precisa contro il seggio patriarcale che lei occupa: sostituirono gerarchie ecclesiastiche latine a quelle ortodosse. Non vi preoccupa anche ora la tendenza dei cattolici a contrapporre gerarchie proprie alle vostre nei territori dell'ortodossia? E a esercitare il proselitismo nei confronti dei fedeli ortodossi?
«Si, abbiamo problemi in questo senso, che assillano soprattutto il patriarcato di Mosca. Certi sacerdoti polacchi soffrono di uno zelo missionario esagerato, incomprensibile e inaccettabile. Che senso ha mettersi a convertire dei cristiani, con tanti miliardi di esseri umani sul pianeta che non hanno ancora ricevuto il vangelo di Cristo? Perché convertire un ortodosso in cattolico? Come dicono i francesi, à quoi ca sert?»
Ma la minacciata conquista latina di Kiev - per riferirci in modo esplicito al recente problema del patriarcato latino e degli uniati ucraini - non rischia in un certo modo di ripetere proprio quella sovrapposizione ecclesiastica che il Papa dovrebbe avere sconfessato chiedendo perdono per il 1204?
«Sì, gli uniati, le cosiddette chiese greco-cattoliche, a volte si contrappongono all'ortodossia. Ma non bisogna dimenticare la storia, bisogna accogliere invece i suoi insegnamenti per non ripetere gli stessi errori. E quest'opinione è condivisa anche qui a Roma. E' per noi davvero importante che la Chiesa cattolica si dica ufficialmente contraria al proselitismo, proprio come noi, e che consideri quegli atti isolati, frutto dello zelo esagerato di singole persone».
Non trova che la cosiddetta deviazione su Costantinopoli della Quarta Crociata abbia segnato la caduta dell'impero di Bisanzio prima e più della conquista turca?
«Eccome. In un certo senso, fu più distruttiva ancora».
Allude alla distruzione del patrimonio archivistico e bibliografico
«Magari ci fossero stati solo i libri nel bottino dei latini! Si sono impadroniti dei nostri più straordinari tesori d'arte, che si trovano ancora qui da voi: antichissimi oggetti sacri, preziose reliquie. Ho chiesto al Papa di riavere indietro le reliquie dei nostri due massimi Padri della Chiesa, Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo, che ci risultano trafugate allora e che secondo gli studi che ho fatto eseguire negli Archivi Vaticani si trovano tutt'oggi qui a Roma, molto probabilmente nella stessa basilica di San Pietro. Sono certo che ce le restituiranno, forse in occasione della visita del Papa a Istanbul».
A proposito, come giudica il prospettato ingresso della Turchia in Europa?
«Lo auspico, e credo che porterà conseguenze positive per il patriarcato ecumenico. Costantinopoli è un ponte tra islam e cristianesimo, tra Asia e Europa. Il primo ministro Erdogan ha bisogno di inserirsi nella famiglia europea e mostra di volersi adattare alla sua legislazione. Oltre a passi concreti come l'abolizione della pena di morte e la liberazione dei deputati curdi dalla loro decennale prigionia, sta praticando una politica di apertura verso le minoranze, ha perfino promosso trasmissioni televisive in questo senso».
E' vero che dopo 33 anni di chiusura riaprirà la Chalké?
«Lo confermo. Riaprirà in autunno e spero di potere già utilizzare il nuovo anno scolastico. Tutti i segnali del governo turco, del premier e dei suoi ministri, lasciano credere che questa è la loro ferma intenzione. Si tratta di definire con esattezza la formula. Probabilmente adotteremo il medesimo statuto approvato dal governo turco nel 1951».
La sua attenzione non va solo alla teologia, ma all'ecologia. La chiamano il Patriarca Verde...
«L'ambiente è da sempre al centro delle mie cure pastorali. Il mondo contemporaneo deve fronteggiare una crisi terribile, sociale e ambientale. Considero la violenza contro il mondo naturale un peccato in senso proprio. I sacerdoti come gli imam dovrebbero sensibilizzare i fedeli. Ci sono pochi riferimenti all'ambiente in ciò che protestanti e cattolici dicono la domenica, gli ebrei il sabato e i musulmani il venerdì nei rispettivi luoghi di culto».