Il potere temporale dei papi: la leggenda e la propaganda
Lo storico Viari ripercorre la donazione di Costantino e i rapporti fra il Trono e I'Altare, fino al '900
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L’influenza politica del papato di Roma non ha eguale nelle altre confessioni cristiane. Prova ne sia che catalizza l'ostilità musulmana più di ogni altra. Tre anni dopo la caduta di Costantinopoli nel 1461, Enea Silvio Piccolomini, un avventuroso, disincantato, coltissimo intellettuale prestato alla politica ecclesiastica, propose al sultano Mehmet II «di convertirai e di ricevere da lui la corona di Costantino». Enea Silvio era deluso dall’imperatore Federico III, di cui pure era stato segretario e al quale doveva la folgorante carriera che lo aveva portato al soglio pontificio con il nome di Pio II. L’impero tedesco era in quel momento riottoso ad assecondare il suo progetto militare di salvataggio o parziale recupero nel seno di Pietro della civiltà cristiano-bizantino, dettato da una prospettiva geopolitica peraltro chiaroveggente, che vedeva nell’occupazione islamica del Mediterraneo orientale l'inizio di un insanabile e devastante scontro di civiltà.
Ma con quale autorità Piccolomini, per cercare di attenuarne le conseguenze, avrebbe potuto attribuire il titolo di Costantino a colui che aveva usurpato nel sangue il trono di Costantinopoli? Paradossalmente, proprio in base alla leggendaria donazione con cui il primo imperatore cristiano-bizantino, al momento di trasferire la capitale dell’impero alla neofondata Costantinopoli, avrebbe conferito a papa Silvestro I la sovranità su Roma, il suo senato, le sue dignità e ogni regno estraneo alla sfera d'influsso di Bisanzio.
In realtà, spiega Giovanni Maria Vian nel bellissimo libro intitolato appunto La donazione di Costantino, la formazione del potere temporale dei papi è un fenomeno storicamente inverso, non causa ma conseguenza del venire meno dell’autorità imperiale in Italia tra il V secolo e la metà dell’VIII, e non certo per una rinuncia di Costantino, all’apogeo della sua potenza. Inversione che basta a giudicarla 'storicamente mitica”.
Sul carattere apocrifo della donazione non è stato in effetti mai necessario attendere l’opera, polemica quanto filologicamente esemplare, di Lorenzo Valla, il quale non trovò del resto particolare ostilità in Vaticano. Arnaldo da Brescia aveva denunciato il falso già nel 1152. I dubbi non erano e non sarebbero mancati mai, riguardo non solo alla sua autenticità ma anche alle modalità della sua invenzione. Che avvenne forse nelle cancellerie vaticane quando i longobardi stringevano i possedimenti pontifici da Nord e da Sud, consigliando alla Chiesa l’alleanza con Carlo Magno e la sua incoronazione a imperatore d’occidente. 0 forse proprio in ambiente ecclesiastico franco, poiché non fu mai chiaro a quale dei due poteri quell’incoronazione convenne.
La leggenda narra che Costantino, malato di lebbra e pronto a mondarsi del suo male in una piscina di sangue di fanciulli sgozzati, secondo gli empi consigli dei sacerdoti capitolini, fosse fermato da Silvestro e consegnato alla “piscina della grazia" con un battesimo che subito lo guari - anche se in realtà sarebbe avvenuto venticinque anni più tardi, sul letto di morte. La conversione avrebbe portato alla legittimazione del culto cristiano, poi divenuto religione di stato, ma soprattutto alla dichiarazione del primato di Roma sulle altre sedi vescovili e infine alla donazione. Grande illustrazione di questa leggenda sono mosaici e affreschi dell’XI e XII secolo eseguiti a Roma, soprattutto nella loggia del Laterano e ai Santi Quattro Coronati, dove l’iconografia della cerimonia enfatizza nei simboli il primato del papa sul sovrano. Dice bene Vian: a Roma la donazione non è solo “una storia di testi, ma anche di splendida propaganda artistica”.
Dando conto della polemica mai sopita tra costantiniani e illuministi sino alla fine del potere temporale dei papi, Vian non trascura il contesto internazionale ma privilegia la storia d’ltalia: la più segnata dalla donazione, in quanto fonte di legittimità del potere temporale del papato. Da Napoleone a Pio VII, ma soprattutto da Gioberti a Cavour fino ai Patti Lateranensi e al “Tevere più largo” di Spadolini, da Roncalli a Montini fino a Luciani e Wojtyla, la storia d’Italia e dei "papi non più re” viene ripercorsa e rivisitata, e ogni sua ideologia riesumata e sottoposta a una puntuale, autoptica, ostinata revisione, e la dialettica tra pensiero laico e cattolico illuminata, grazie all’indomita filologia di Vian, da più di una rivelazione.