Patmos, i terroristi dell'Apocalisse
Fantasmi greci dietro il processo all'organizzazione rivoluzionaria «17 Novembre», nata in un monastero ortodosso
Articolo disponibile in PDF
Era stato il pio Savvas a tradire per primo, ammettendo l'appartenenza all'Organizzazione Rivoluzionaria 17 Novembre e indicando come suo capo un certo Michele «che sta sull'isola vicina a Patmos». Si tratta dell'isoletta di Lipsi, paradiso di pescatori e hippies, mèta delle barche di lusso dell'eccentrica società internazionale dell'isola dell'Apocalissi. Li Michele ha una casa a forma di cubo, l'unica rossa nel pugno di casupole bianche che orlano la spiaggia. Sono questi i protagonisti di una storia che insiste a non finire e che vede in Grecia come in Italia tornare i fantasmi del terrorismo. Fino a qualche mese fa, la parola terrorista veniva associata, non solo in America ma anche nel nostro vecchio mondo, principalmente al terrorismo islamico. Il terrorismo europeo appariva quasi un ricordo remoto, legato al mondo scomparso degli anni '70, agli eskimo e alla guerriglia urbana. Un mondo di connivenze culturali, e a volte anche materiali, dell'élite borghese con l'ideologia della lotta allo Stato. Ma adesso in Italia la cruenta cattura dei brigatisti legati probabilmente all'uccisione di D'Antona e Biagi, con la morte dell'agente polfer Retri, è stata stranamente concomitante con la clamorosa apertura in Grecia del processo ai terroristi dell'Organizzazione Rivoluzionaria 17 Novembre. Un processo che, anche per le sue modalità, sembra riportare a un tempo e a un modello che si credeva dimenticato. Lo Stato greco è accusato di violare le garanzie democratiche non solo dagli avvocati difensori dei terroristi ma da intellettuali come Eleni Varikas, docente a Parigi, che ha lanciato una violenta denuncia su Le Monde del 5 marzo scorso. I rappresentanti di dieci associazioni per la tutela dei diritti umani, a cominciare da Amnesty International e dalla Ligue Frangaise des Droits de l'Homme, siedono come osservatori nel sorvegliatissimo perimetro del bunker cu Korydallos. La recrudescenza brigatistica in Italia e l'epocale chiamata in giudizio del terrorismo in Grecia ricordano all'Europa che la scelta terroristica ha fatto parte della sua società, che ne fa parte ancora, che è una fuga sempre possibile. In Italia perché uccide. In Grecia perché è rimasta una realtà attuale in tutti questi anni. Attuale anche se invisibile, legata da un filo sottile, attraverso i suoi esponenti, a un luogo simbolico: l'arcipelago di piccole isole tra Icaria, dove cadde il figlio di Dedalo, e Patmos, il luogo dell'Apocalissi. In verità, il primo atto aveva avuto come scenario le banchine del Pireo, dove alla fine di giugno una bomba era esplosa in mano a uno sconosciuto. Gli investigatori gli avevano trovato accanto la calibro 38 di un poliziotto vittima del gruppo 17 Novembre. L'attentatore si chiamava Sawas Xiròs, aveva 40 anni, faceva di mestiere il pittore di icone; e veniva da Icaria, appunto, isola tradizionalmente di sinistra, luogo di confino degli oppositori del regime durante la dittatura dei colonnelli. La famiglia Xiròs è tutta un karma. Sawas è figlio di un pope di nome Triantaphyllos, «roseto», e fratello di altri due presunti terroristi, Christodoulos, costruttore di strumenti musicali, e Vassilis, cantante. Una famiglia dedita alle antiche tradizioni e legata alla più fervente ortodossia. Sawas stesso ha per un breve periodo studiato alla scuola teologica di Patmos, la Patmiàs, nota per avere formato al principio dell'Ottocento futuri capi della Rivoluzione greca come Metaxas. Ha inizio così, tra luglio e agosto, lo smantellamento della brigata 17 Novembre. «I misteri di Patmos», titolano i quotidiani greci. Gli elicotteri roteano sull'isola. Quando il misterioso Michele è arrestato i muri si riempiono, a sorpresa, di tatzebao. La polizia cerca ovunque, interroga i locali e i membri della tribù cosmopolita che popola le case bizantine di Chora, attorno al monastero di Giovanni Theològos. Un mondo di artisti, intellettuali e snob segretamente nostalgici dello spirito ribelle degli anni '70. Un antiquario viene fermato. Una teatrante tedesca è sospettata di complicità. Il riserbo, nei confronti degli estranei, è assoluto. L'emozione, manifestata a pochi, è grandissima. Ma chi è il Michele dell'isola di Lipsi? Il nome vero è Alexandros Giotopoulos. Nato e formato a Parigi, definirlo trozkista è poco. Suo padre è stato il braccio destro di Trotskij. Rivoluzionario vieux jeu, pieno di carisma, cita in continuazione Voltaire e non esita a inserire brani letterari nei comunicati in cui rivendica le azioni del suo gruppo tra il 1975 e il 2000: rapine, attentati, omicidi. Sarà quello dell'addetto militare britannico Saunders a segnare una svolta, mobilitando la macchina dei servizi segreti britannici. La compagna parigina di Giotopoulos ha insegnato per anni all'esclusivo liceo francese di Atene: altro punto di contatto con un mondo sofisticato e cosmopolita. Man mano che le notizie arrivano a Patmos, tutti si trovano legati, più ò meno inconsapevolmente, a quella rete invisibile e inafferrabile per anni, non solo dal governo greco, ma anche dai servizi americani. Qualcuno per consuetudine o amicizia. Qualcun altro per odio. Nel clan patmiota ci sono anche la vedova e i figli di un armatore assassinato dai terroristi, giudicato nemico del popolo solo in quanto capitalista. Ma la vittima aveva preso più di un caffè, sul molo gremito di barche miliardarie, con il suo assassino. Facevano parte, in qualche modo, della stessa sceneggiatura. Il fatto è che il gruppo 17 Novembre, dopo avere inizialmente preso a bersaglio militari americani, diplomatici turchi, esponenti greci personalmente compromessi con la dittatura, sembra in seguito deviare dalla vocazione ipernazionalista e rivoluzionaria. Le vittime degli agguati vengono scelte con criteri arbitrari, c'è chi dice perfino su commissione, dietro pagamento di mandanti privati. Un importante editore greco, Michalopoulos, proprietario del giornale di destra Elefterì Ora, sta per essere arrestato con l'accusa di avere estorto denaro a vari industriali minacciandoli di morte per conto del gruppo 17 Novembre. La polemica, in Grecia, infuria. Secondo gli Usa la rete terrorista non è interamente smantellata e il processo di Korydallos non chiuderà una vicenda oscura in cui, sempre secondo gli americani, era strettamente implicato anche il Pasok, il partito socialista ora al governo. Politici e commentatori rispondono accusando l'America di avere ritardato, dirigendo ingiustificati sospetti verso la sinistra moderata, le indagini risolte invece con l'aiuto degli inglesi. E ritengono che il processo in corso segnerà una vera e propria catarsi politica della Grecia dopo cinquant'anni di aperta o coperta guerra civile. L'antiamericanismo riunisce dunque, nell'aula blindata, accusatori e accusati. E questo a poche miglia da quella Turchia che ha minacciato di negare agli americani le sue basi aeree, odiata dai greci quanto dai terroristi, ma al centro di tutte le faglie geopolitiche proprio nel momento in cui l'Europa è scossa e divisa, nell'imminenza dell'intervento Usa contro l'Iraq.