900, il secolo martire
Una tesi provocatoria: la religione cristiana non è mai stata perseguitata come negli ultimi cent'anni
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«Se ci chiedessero di indicare il periodo nella storia del mondo durante il quale il genere umano è stato più felice e più prospero, potremmo senza esitazione citare quello che va dalla morte di Domiziano all'ascesa al trono di Commodo e cioè l'età degli Antonini», ha scritto un grande storico come Gibbon. Eppure, gli studi più recenti hanno dimostrato che proprio il pio Marco Aurelio, il più colto e lungimirante di questi imperatori, fu il primo persecutore dei cristiani e li fece ricercare e processare dall'uno all'altro lato dell'impero.
Nell'opinione corrente, il Novecento è il secolo del progresso e della globalizzazione del cristianesimo. Eppure in un libro appena uscito, I nuovi perseguitati, l’indagine sull'intolleranza anticristiana nel nuovo secolo del martirio (con prefazione di Ernesto Galli della Loggia, Flemme, 160 pp., 8,90 euro), Antonio Socci sostiene una tesi provocatoria ed estrema: che nel ventesimo secolo la religione cristiana è stata perseguitata non solo più di ogni altra, ma più di quanto lo sia stata in tutti i secoli precedenti della storia, inclusi i tragici primordi dal 33 dopo Cristo all’editto di tolleranza di Costantino. Le cifre, a prima vista, appaiono sconcertanti. Se in due millenni si è calcolato che 70 milioni di cristiani siano stati uccisi per la loro fede, ben 45 milioni e 500 mila di loro, afferma Socci, e cioè circa il 65 per cento del totale, sono martiri del ventesimo secolo: dal 1950 ad oggi addirittura 278.000 l'anno, in schiacciante prevalenza cattolici. Nell'emisfero settentrionale del globo è soprattutto al totalitarismo nazista e comunista che va attribuita, argomenta Socci, la massima attività persecutoria: il materialismo biologico del nazionalsocialismo e il materialismo storico del marxismo, entrambi per vocazione ateisti, hanno oppresso con la violenza ogni ideologia ultraterrena. Ma è nell'emisfero meridionale del pianeta che i cristiani hanno subito di più e più di recente. Dal Pakistan all'Indonesia e dal Vietnam alla Cina, dalla Mesopotamia al Sudan e dalla Nigeria a quasi tutto il Nord Africa, nessun paese del sud del mondo è rimasto indenne da martìri feroci: bambini decapitati, donne stuprate, uomini massacrati nelle chiese. Il caso più noto e recente di persecuzione anticristiana è quello di Timor Est, dove - nei giorni terribili delle stragi perpetrate dai miliziani filoindonesiani ai danni degli indipendentisti - cento fedeli, compresi tre preti, furono uccisi in una chiesa, nel settembre '99. Ma l'eccidio avvenuto in Sudan nel febbraio 1993 ha fatto vittime mille volte superiori a quelle dell'aggressione serba al Kosovo, ricorda Socci, senza che nessuno si sia sognato di intervenire. Dunque l'età dei martiri è oggi, è domani, è questa. Tuttavia, quelli che Socci enumera sono eventi tragici, ma non martìri. C'è una gran confusione, oggi, sul termine e sul concetto di martirio. Del nome di martire si abusa. Gli estremisti palestinesi che si fanno esplodere nelle vie si autodenominano provocatoriamente martiri. Sono martiri, nella terminologia comune, gli ebrei uccisi in quegli attentati, così come gli americani delle Torri Gemelle e i pompieri morti per salvarli. Giornali e media chiamano i terroristi suicidi kamikaze, accomunandoli ai piloti giapponesi che nella seconda guerra mondiale si lanciavano, sacrificando la vita in base all'antico codice d'onore dei guerrieri samurai, contro un obiettivo militare: atto ben diverso dalle stragi di civili della jihad terroristica. La verità è che ogni società e ogni cultura ha il suo modello di sacrificio politico-religioso. Quello giudaico-cristiano è ben preciso, diverso dagli altri, e richiede, per essere denominato martirio, alcuni requisiti. Che cos'è un martire? Anzitutto un uomo innocuo, che respinge ogni guerra e ogni violenza. La guerra santa è estranea al concetto di martirio. E' vero però che il martire è un suicida, ossia un individuo che si consegna coscientemente alla morte: lo sappiamo dalle più antiche fonti, gli atti dei processi contro i martiri ebrei e cristiani, a partire dal I secolo dopo Cristo. E' un suicida in nome di una fede dotata di un impatto politico sul mondo in cui si manifesta e che determina l'aut-aut della società al martire che la contesta: o ti smentisci, o muori. In questo senso, è impossibile considerare martiri i milioni di sventurate vittime di guerre tribali o repressioni politiche e sociali elencate da Socci. Anche perché, se leggiamo, oltre agli antichi Atti dei martiri, i teorici seicenteschi della dottrina martirologica della chiesa cristiana, vediamo che un terzo dato identifica il martire e Io distingue da ogni altra generica vittima: la tolleranza del suo persecutore. Per il cardinal Baronio e gli altri estensori del Martirologio romano durante la Controriforma, il martire è tanto più «vero» quanto più sensata è l'offerta di compromesso politico che respinge e quanto più ostinata è la sua resistenza alla tentazione di compromettere un credo che considera l'unico possibile, mentre i suoi giudici ne ammettono molti. Non sono quaranta milioni i martiri cristiani del Novecento, se parliamo in termini tecnico-dottrinali. Il che non significa che il secolo breve non abbia prodotto, accanto a infiniti orrori, alcuni «veri» martiri. Ma, se Dio vuole, il loro numero non è superiore a quello della «felice età degli Antonini». Quanto alle altre, innocenti e numerosissime vittime, sono anche il risultato della volontà della chiesa cattolica di evangelizzare in massa il Terzo Mondo. Questa politica proselitistica ha i suoi rischi. Il nuovo scontro tra «paganesimo» e cristianesimo non può essere imputato, come fa Socci, alla moderna laicità degli Stati, ma se mai ai residui fideistici delle società.