Sotto il mantello della liturgia, l'unità della Chiesa
Autorità ecclesiastiche e teologi occidentali e orientali al convegno ecumenico che si conclude oggi nel monastero di Bose
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La teologia è una foresta intricata: per orientarsi ci vuole addestramento, bisogna saper riconoscere i tronchi, le cortecce, farsi largo con il machete tra il fogliame che può confondere le tracce, riconoscere i segni lasciati da chi l’ha percorsa prima di noi. Magari a distanza di secoli: la foresta, come la teologia, è antica di millenni, è senza tempo o almeno ha una diversa dimensione temporale. Altrimenti si rischia di perdersi, o di girare in tondo e tornare al punto di partenza.
Un buon modo per procurarsi questo addestramento - tanto più utile ora che la religione cristiana è tornata nei discorsi degli intellettuali ma non per questo è più conosciuta, ora che abbiamo un papa i cui sottili discorsi si rifanno alla più rigorosa teologia dogmatica, ma proprio per questo rischiano a volte di essere fraintesi – è frequentare i convegni ecumenici internazionali che ogni anno organizza il Monastero di Bose. Il quattordicesimo, che si apre oggi sotto il patrocinio del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e del Patriarcato di Mosca, riunendo autorità ecclesiastiche e teologi occidentali, dal cardinal Silvestrini a André Louf, e orientali, dal metropolita Gennadios a Christos Yannaras, è più indicativo che mai della natura impervia e atemporale del pensiero della Chiesa.
Partendo da un autore del Trecento bizantino dal nome singolare, Cabasilas, e da un ambito apparentemente accessorio ed “esterno” come la liturgia – che Cabasilas stesso definisce un “mantello” (imation) avvolto intorno all’“essenza santificante” (ergon) del sacrificio condiviso – arriva a toccare elementi e problemi centrali non solo della teologia cristiana, ma della politica ecclesiastica, in particolare del rapporto fra cristianesimo cattolico e ortodosso: tanto importante oggi che l’unità della chiesa è vista dal papa stesso come via maestra per il rafforzamento della cultura cristiana dinanzi alle contraddizioni del progresso da un lato, e dall’altro alla sfida dell’islam.
La politica ecclesiastica si fa, dunque, anche attraverso il dibattito fra liturgisti? “C’è un’avanguardia di liturgisti, ortodossi e cattolici, che comunicano”, spiega Enzo Bianchi, il priore di Bose. “E questo è ecumenicamente importante se il discorso comune verte, come nel convegno che si apre oggi, appunto sulla liturgia eucaristica in particolare e sul problema attuale del rapporto tra eucaristia e chiesa”.
E però di nuovo, a sentire le disquisizioni sottili, quasi sofistiche, sulla liturgia eucaristica, il profano rischia di scoraggiarsi. Non fosse che Enzo Bianchi è molto bravo a fare da guida: “Cos’è l’eucaristia, se non l’unità della comunità cristiana nel sacramento?”, chiarisce, guidandoci nel sentiero della foresta, già battuto da ragionamenti antichi come quelli di Cabasilas, o più recenti come quelli dei grandi studiosi di tutto il mondo convenuti a Bose: cattolici e anglicani, da Hervé Legrand a Hugh Wybrew di Oxford, ma anche e soprattutto ortodossi, da Pavlos Koumarianos a Assad Kattan a Petros Vassiliadis. “Eppure, paradossalmente, è proprio nel segno dell’eucaristia che la chiesa ortodossa e quella cattolica non comunicano: non abbiamo ancora l’intercomunione, anche se c’è stato un momento in cui sembrava possibile”.
Enzo Bianchi allude al momento del dialogo tra Paolo VI e il patriarca Atenagora, quando, all’arrivo del papa in Turchia nel 1967, il nome del successore di Pietro risuonò nella preghiera di Costantinopoli, e alla fine del polychronion al suo indirizzo la folla ripeté Axios, axios, e Atenagora affermò solennemente: “Pietro e Andrea, fratelli e apostoli, gioiscono con noi, e la loro gioia è condivisa dai cori degli antichi padri dell'occidente e dell'oriente, resi perfetti dalla testimonianza della fede comune della chiesa indivisa, nell'azione santificante della loro partecipazione alla stessa liturgia”. E Paolo VI rispose: “Faremo tutto ciò che è in nostro potere per avvicinare il giorno in cui la piena comunione verrà ristabilita tra la chiesa d'oriente e quella d'occidente. Per effetto della successione apostolica, il sacerdozio e l'eucaristia ci uniscono ancora più intimamente: questa la comunione profonda e misteriosa è già presente tra noi". In una lettera al papa dopo il Concilio Vaticano II, il capo della chiesa ortodossa aveva scritto: “Ho il calice in mano, lo tengo, è pronto”. E però il concetto di intercomunione, ossia di un’eucarestia condivisa tra le due confessioni cristiane, non è, a sua volta, privo di insidie: “Quel momento non è stato colto perché una parte della chiesa cattolica rivendicava la necessità di ciò che si chiama ‘piena e perfetta comunione’”. Cioè un’accettazione totale, da parte degli ortodossi, non solo dell’eucarestia, ma anche della teologia cattolica e del primato di Pietro? “Sì, ma è comunque un’espressione inadeguata. La comunione non l’abbiamo mai piena neanche tra cattolici. Possiamo tutt’al più intravederla, ma le differenze esistono anche in seno alla chiesa di Roma”.
Qualcuno ha detto che “l’eucarestia è inesauribile, la spiegazione è sempre parziale”. Ma questo non è un discorso relativistico, di quelli che non piacciono a papa Ratzinger? “No, anzi, è un discorso che può essere amato dai teologi dogmatici. Una concezione comune dell’eucarestia, che porti a una sola voce concorde e convergente, indicherebbe che c’è già un’unità, che c’è già, appunto, una comunione” In altre parole, la concordanza dei pensieri dei liturgisti orientali e occidentali consentirebbe un’unione tra le chiese che scavalca le controversie teologiche, e politiche, più annose e sottili? “Non direi che le scavalca. Il punto è che l’interpretazione comune è ecumenicamente importante perché, essendo tutt’e due le eucaristie valide, rivela una comunione reale tra le chiese, non visibile ma esistente nell’unica eucaristia e nell’unico Cristo”. Già esistente, forse, nella dottrina di Cabasilas, autore orientale non a caso molto noto e diffuso nella chiesa occidentale: dal Seicento, quando furono tradotte in latino le sue principali opere - La vita in Cristo e soprattutto La spiegazione della divina liturgia - fino ad oggi.
E’ in questa direzione, allora, che va la visita che il papa si accinge a fare a Costantinopoli al patriarca Bartolomeo? “Sulla volontà ecumenica di Ratzinger non ci sono dubbi. L’idea di rafforzamento della chiesa che gli è propria è un’idea ecumenica. Se non ci uniamo, come ci capiscono i fedeli? Gesù stesso ha chiesto l’unità dei suoi. Papa Benedetto ama rifarsi alla scrittura e ai testi degli antichi Padri bizantini, e anche per queste continue citazioni è amato dagli ortodossi”. Dunque il convegno di Bose sulla liturgia eucaristica bizantina ha anche il senso di un preludio propiziatorio a un passo decisivo delle chiese verso l’unione? “L’incontro, credo, toccherà soprattutto le chiese dell’ortodossia bizantina. Il vero problema per l’ecumenismo è però la divisione interna al mondo ortodosso, tra la comunità di Mosca e quella che fa capo al patriarca di Costantinopoli. L’incontro decisivo sarà quello tra Benedetto e il patriarca Alessio. Ma è, e speriamo di renderlo, sempre più vicino”.