Una preghiera sull'Acropoli
Dallo scisma del 1504 alle proteste d'oggi per la visita del pontefice
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Hanno devastato Costantinopoli nel 1204, con la Quarta Crociata e il saccheggio dell'ipercivile città detta Faro dell'Ecumene e Occhio della Cristianità. L’hanno lasciata cadere sotto i turchi nel 1453, con i temporeggiamenti del papa nel finanziare e armare la flotta veneziana che avrebbe dovuto soccorrere i bizantini aggrediti da Mehmet il Conquistatore. In nome del primato di Roma hanno poi disseminato il mondo ortodosso di quei replicanti che chiamiamo uniati, religiosi cattolici nerovestiti e barbuti che ancora oggi seguitano a fare propaganda alla Chiesa di Roma, spesso scambiati dai meno esperti fedeli occidentali per ortodossi. Non hanno mai rinnegato, e questo è naturale, gli assunti dogmatici di cui si fece forte lo scisma già nel lontano 1054, ai tempi del cardinale Umberto di Silvacandida e del patriarca Michele Cerulario: la dottrina della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, anziché attraverso il Figlio - il famoso Filioque - e il celibato dei preti, fra gli altri. Adesso Karol Wojtyla, il papa geopolitico, con le mani sui media e gli occhi a Mosca, vuole andare a «pregare sull'Acropoli»: come già fece san Paolo, da cui ha preso il nome e che è simbolo del cristianesimo dell'età apostolica, la cui eredità Roma ritiene di rappresentare. Il viaggio di Giovanni Paolo II in Grecia, previsto per il 4 e 5 maggio, non è quindi un atto di omaggio alla tradizione cristiana che ha resistito alla turcocrazia, protesta la comunità monastica del Monte Athos; e ne chiede l'annullamento, decretando che il papa «può solo creare problemi e nulla ha da offrire in cambio alla Chiesa greco-ortodossa». Wojtyla, contestano i gruppi più ferventi, vuole far credere al mondo di essere il capo unico e massimo della cristianità: le televisioni e le radio, che il Vaticano domina, riecheggeranno ai fedeli un'antica e ingannevole presunzione di primato. Il capo del Sinodo della Chiesa greca, il primate Christodoulos, allarmato all'idea di dimostrazioni di piazza di cui dovrebbe rispondere, si affanna ogni domenica a placare il suo gregge: «Calmatevi», implora dalle iconostasi delle chiese elleniche, addossando all'iniziativa dei governi la concessione del nulla osta al papa. Mentre Wojtyla sottolinea il carattere strettamente religioso della sua visita, i vescovi del Sinodo ritengono che il permesso di toccare il suolo greco, concesso a un papa per la prima volta nella storia, derivi da accordi politici e non da patteggiamenti tra le Chiese. La Chiesa ortodossa ha una lunga tradizione in fatto di concessioni alla politica. Risale a Bessarione, il genio diplomatico e strategico che poco prima della caduta di Costantinopoli, al Concilio di Firenze del 1439, mediò l'Unione delle Chiese. Quel compromesso effimero, contestato fin dall'inizio dal clero orientale, rivelatosi così inefficace nel corso del tempo, fu un atto di opportunità politica e di infedeltà teologica. E stato ora dimostrato dagli studiosi che Bessarione, nella relazione finale che tenne al Concilio (il celebre Henotìkos Logos, di cui è appena uscita l'edizione critica), si basava su fonti teologiche dalle quali personalmente dissentiva. Il trasformismo dogmatico di Bessarione fu un atto di Realpolitik corrispondente a un'immediata contropartita politica: la crociata contro i turchi, che venne organizzata da Roma obtorto collo e fallì a Varna nel 1444. Ma Bessarione, sfruttando la posizione occidentale che la Curia romana gli aveva offerta, continuò a perseguire il suo disegno di salvataggio politico attraverso il compromesso ecclesiastico. Il progetto di recuperare il trono di Bisanzio all'area d'influenza di Roma spinse Enea Silvio Piccolomini - Pio II, il papa-umanista - a convocare nel 1459 alla Conferenza di Mantova i principali potentati europei. Una massiccia crociata antiturca avrebbe dovuto riconquistare almeno il Peloponneso e lì reinnestare il dominio della dinastia Paleologa. L'eredità statale di Costantino e il soglio di Pietro si sarebbero così ricongiunti in una formula religiosa mista, in cui il precedente del Decreto di Unione del 1439 avrebbe trovato un senso. Ma anche questo progetto fallì, con la morte di Pio II. Fu allora che Bessarione, deluso dall'Occidente, negoziò, beffando la Curia, le nozze fra l'erede dell'ultimo sovrano bizantino, Zoe Paleologina, e il Gran Principe di Mosca Ivan III, e con ciò trapiantò in Russia, tramontato il sogno di una rifondazione occidentale, sia la successione dinastica dei Cesari, sia la tradizione cesaropapista bizantina, saldandola nuovamente e ancora più fortemente con l'ortodossia. Avvenne così che per i secoli dell'era moderna l'antica tradizione ortodossa e insieme la memoria della grande civiltà di Bisanzio furono confinate dai papi al di là di una vera e propria cortina di ferro. La storia bizantina fu dimenticata, discriminata, mistificata dalle censure della storiografia confessionale cattolica, via via che l'ortodossia rinasceva facendosi sostegno teologico e ideologico della dottrina autocratica della Terza Roma zarista, affermata da Ivan il Terribile, il nipote di Zoe Paleologina, e perpetuata fino a Stalin e fino all'impero comunista. Nell'era moderna, non è stata più la Chiesa greca, languente sotto il gioco islamico e tra le mura del Fanario, ma la Chiesa russa, vitale e legata a uno Stato forte, il vero ostacolo al primato dei papi cattolici. Adesso, con la caduta del Muro di Berlino, è crollato forse anche quell'argine che Bessarione creò alla tradizione e ai riti della cristianità di Bisanzio. O almeno è questa, forse, la speranza del papa polacco. «A Mosca, a Mosca» rinvia ogni suo atto politico. Da sempre, da che la Rus' esiste, Bisanzio è la linea che unisce, o separa, Roma e Mosca. Quella che passa per l'Acropoli di Atene, e poi per l'Ucraina, è una manovra di accostamento alla vera roccaforte. Marciando sulle rovine dell'impero socialista Wojtyla tenta di disfare i fili che Bessarione annodò sulle rovine dell'impero bizantino, quando trasferì la tradizione ortodossa alla Terza Roma, non volendo ammettere la supremazia della Prima, dopo che fu caduta, per colpa anche dei Papi, la Seconda.