Ipazia, la filosofa pagana uccisa dai talebani cristiani
A Rimini una mostra nelXVI centenario della morte. Una raccolta difirme per dedicarle una piazza di Roma
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Anche se non esiste un martirologio laico, da più parti e in più modi, discretamente, quasi sotterraneamente, il mondo ricorda quest’anno il sedicesimo centenario del martirio di Ipazia, la filosofa bizantina assassinata ad Alessandria d’Egitto dalle milizie fondamentaliste cristiane del vescovo Cirillo nella primavera del 415, poco prima di Pasqua. Una mostra al Museo del Calcolo di Rimini (415-2015. Ipazia matematica alessandrina, 4 aprile – 30 agosto, sabato e domenica dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18) ricorda questa donna eminente, amata dai suoi discepoli pagani e cristiani, esponente di una moderazione di pensiero cui faceva riscontro “una franchezza di parola”, narrano gli storici, per cui “si rivolgeva faccia a faccia ai potenti e non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini, i quali, data la sua straordinaria saggezza, le erano tutti deferenti e la guardavano con timore reverenziale”. Su Ipazia, maestra di scienza e di sapienza ma anche di impegno civico, icona della libertà di pensiero, la mostra di Rimini offrire ai visitatori una documentazione essenziale: documenta la sua cultura scientifica (in esposizione, insieme ad antichi strumenti di calcolo astronomico, le opere di Euclide, Apollonio, Diofanto e soprattutto di Tolomeo, di cui commentò le Tavole semplici e rivide l’Almagesto) e testimonia la devozione che lungo sedici secoli le ha tributato l’intera cultura occidentale, dalla pittura (per esempio il celebre quanto discusso ritratto segreto di Raffaello nella Scuola d’Atene) alla letteratura (uno per tutti l’omaggio di Leopardi nella Storia dell’astronomia) fino alla scienza moderna, che le ha intitolato il cratere lunare Ipazia, non lontano dal punto di allunaggio dell’Apollo 11, come evidenzia l’ultima vetrina.
In questi tempi in cui il medio oriente è percorso dal terrore dell’integralismo islamico e insanguinato da episodi massicci e cruenti di persecuzione religiosa, non è facile ma è importante ricordare che la chiesa cristiana ai suoi inizi si macchiò di una violenza integralista per molti versi affine, come quella dei parabalani, i monaci-barellieri, di fatto miliziani clericali che massacrarono Ipazia, la fecero a pezzi e diedero i suoi resti alle fiamme. E’ unanime la testimonianza delle fonti coeve e poi bizantine secondo cui fu il vescovo Cirillo il mandante di quell’assassinio brutale che rifletteva non tanto un conflitto religioso o una lotta per la supremazia confessionale, già assicurata dai decreti teodosiani, che avevano appena proclamato il cristianesimo religione di stato, quanto una precisa e circostanziata strategia di appropriazione del potere statale, in una prospettiva teocratica. Il proselitismo armato di Cirillo contraddiceva in pieno la pur astratta idea di tolleranza propugnata cento anni prima dall’editto di Costantino del 313, così come la tendenza conciliatoria del cristianesimo con il paganesimo d’élite che il primo imperatore cristiano aveva appoggiato politicamente e sancito giuridicamente. Rivendicava l’accesso della chiesa alla conduzione della politica, ma un vero e proprio potere temporale, più affine al modello del papato romano che alla rigorosa separazione dei poteri sancita dal cosiddetto cesaropapismo bizantino.
Anche per questo, forse, la posizione ufficiale della chiesa di Roma, nonostante le scuse e le richieste di perdono dispensate un po’ a tutti tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo, e malgrado la gravità e la natura quasi terroristica dell’antico assassinio di Ipazia, non ha mai voluto mettere in discussione Cirillo, la sua santità, la sua probità. Ancora a fine Ottocento Leone XIII lo ha proclamato dottore della chiesa (Doctor Incarnationis). Nella celebrazione che ne ha fatto il 3 ottobre 2007 Benedetto XVI ha lodato “la grande energia” del suo governo ecclesiastico “senza spendere due righe”, com’è stato osservato, “per assolverlo dall'ombra che la storia ha fatto pesare su di lui”. Anche se alcuni intellettuali cattolici hanno invitato, se non alla decanonizzazione, alla cautela, una chiesa di San Cirillo Alessandrino è stata da poco edificata a Roma nel popolare quartiere di Tor Sapienza.
Ed ecco che in questa Pasqua di milleseicento anni successiva alla sanguinaria quaresima del 415 in cui si consumò l’assassinio di Ipazia una sorprendente iniziativa è stata presa dall’Associazione Toponomastica Femminile e da un’ampia e diversificata serie di associazioni cittadine romane, che si sono costituite in comitato e hanno presentato all’ufficio toponomastico del comune di Roma una petizione per dedicarle un adeguato spazio urbano nella città di Pietro: “Una piazza per Ipazia” ha raccolto oltre 1500 firme, che si sommano a quelle di altre richieste già inoltrate e alla proposta di un’intitolazione proprio a Tor Sapienza, nell’area della nuova chiesa di San Cirillo. Non è una provocazione, al contrario, vuol essere una pacificazione. La tolleranza laica non impedisce certo di continuare a annoverare tra i santi del calendario il “terribile vescovo”, come lo chiama la Storia ecclesiastica di Socrate, che il tribunale della storia ha condannato. Ma anche i fedeli cristiani hanno il diritto di ricordare la sua antica vittima e l’insegnamento che la storia e ha da darci sui pericoli del fanatismo religioso, in questi difficili tempi di lotte e persecuzioni.