Quando Dio scende in guerra
Violenza e pacifismo nelle religioni del libro al centro del Convegno Ecumenico di Bose
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“Beato chi sfracellerà i tuoi bambini sulla roccia”, recita il Salmo 136. E vengono in mente i giovani coloni israeliani uccisi o i bambini palestinesi di Gaza sterminati o i cristiani perseguitati in Siria o in Iraq. Se il cosiddetto scontro di civiltà ha meno a che fare con le religioni che con la geoeconomia, e anzi la religione vi è usata spesso a copertura di altri interessi, va anche detto che per i seguaci delle religioni del libro — ebraica, cristiana, islamica — la guerra in ogni suo senso è connaturata all’insegnamento religioso a partire dai sacri testi.
A Bose, dove si apre oggi il XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa (3-6 settembre), prelati e teologi di tutto il mondo si interrogheranno anzitutto sui testi sacri cristiani. E’ vero che Cristo, avverando la profezia, è venuto secondo san Paolo a proclamare la pace ai lontani e ai vicini, come ricorda Enzo Bianchi nel discorso introduttivo, e il vangelo stesso, nella lettera agli Efesini, è la “buona notizia (euangelion) della pace”, che esorta all’inoffensività e celebra i “beati pacifici” da cui il convegno di Bose prende il titolo. Ma è anche vero che nei sinottici Cristo non è venuto a portare la pace ma una spada (Mt 10, 34), non la pace sulla terra ma la divisione (Lc 12, 51), ed esorta chi non ha spada a vendere il mantello e a comprarne una (Lc 22, 37).
Storicamente il cristianesimo nasce, se non bellicoso, militante, se non intollerante, intransigente. I primi martiri cristiani si proclamavano milites Christi e nei dialoghi tra quei “testimoni di verità” e i loro inquisitori pagani la ricerca di conciliazione appare molto più spiccata nei secondi che nei primi.
“Quando leggiamo certi Salmi, l’odio avvampa gli occhi come il calore da una stufa”, scriveva Clive Staple Lewis nelle sue Riflessioni sui Salmi: “molto di più che in qualsiasi opera dell’antichità classica cosiddetta pagana”, argomenterà a Bose il teologo russo Michail Seleznëv in un dotto e provocatorio intervento. Il Salterio è centrale allo stato d’animo cristiano quanto il Nuovo Testamento. Non è un caso che all’epoca delle guerre di religione in Francia i Salmi siano stati adottati come inni di battaglia.
Né è un caso che i recenti dibattiti degli storici americani sulla violenza nelle religioni del libro, e in particolare la nuova corrente relativista che sottrae all’islam non solo l’appannaggio ideologico della violenza religiosa ma anche il primato storico nella jihad, abbiano introdotto per il cristianesimo, così come per l’ebraismo, la nozione di un’antica “teologia dell'odio”. Secondo i teorici della “sacra amnesia”, la Bibbia trabocca di “testi del terrore”, per usare la definizione della teologa femminista americana Phyllis Trible. Secondo Philip Jenkins, lo storico del gruppo di First Things, “la Bibbia contiene molti più versetti che esaltano il massacro o esortano a compierlo di quanti non ne contenga il Corano”.
Nonostante questo, o anzi, possiamo credere, proprio per questo, il cristianesimo fin dal III secolo ha cercato di disinnescare la sacra violenza dei suoi testi. Del Salmo 136 Origene dava un’interpretazione allegorica secondo cui “beato chi sfracellerà i tuoi bambini sulla roccia” significa che bisogna spezzare le proprie inclinazioni al male contro la pietra della ragione. Tutta la letteratura dei padri della chiesa bizantini è tesa al difficile compito di neutralizzare la violenta letteralità delle Sacre Scritture in vista di una conciliazione dapprima tra cristianesimo e paganesimo, poi tra cristianesimo e altre religioni.
Ma sarà nel XIII secolo Francesco, il santo da cui l’attuale papa ha preso il nome, a costruire una dottrina della pace che dall’imperturbabilità interiore e dalla quiete mistica teorizzate dalla letteratura spirituale di Bisanzio si estenderà all’esterno verso la sfera sociale e politica, costituendo una trama unica su cui tessere il comportamento cristiano. In questa sintesi tra spiritualità occidentale e orientale, ampiamente recepita dagli ortodossi come illustrerà a Bose la relazione del teologo greco Panaghiotis Yfantis, il pensiero del massimo mistico dell’occidente offre oltre al vertice storico della teorizzazione cristiana sulla pace anche la base per un nuovo ecumenismo. Non a caso sarà nel nome di Francesco che la ricerca della pace tra le chiese svilupperà le sue strategie e sinergie, da Bessarione fino a Bergoglio.
Perché poi principalmente questo significa pace per il cristianesimo contemporeaneo, come dimostrano i temi di discussione sul tavolo a Bose: pace tra le religioni e pace tra le chiese tuttora divise all’interno della religione cristiana. Almeno è questo il primo impegno che deve assumersi, ammonisce Enzo Bianchi, chi nella chiesa ricerca una più ampia condizione evangelica di pace.