Dal monaco una scelta per la pace
Esponenti di tutte le confessioni cristiane da oggi a convegno nella comunità di Bose
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Un semplice ciabattino di Alessandria può uguagliare o anche superare la virtù del grande Antonio, insegna la Vita del primo dei padri del deserto egiziano, scritta da Atanasio nel IV secolo. In questo inizio di XXI secolo, in cui l’Egitto, la Siria e anche l’Anatolia, culle del monachesimo antico, patrie spirituali della tradizione cristiana d’oriente, sono devastate dal conflitto civile, investite da venti di guerra che rischiano di generarne una ancora più grande, come ha avvertito lo stesso papa Francesco, il pensiero va non solo agli ecclesiastici e ai monaci uccisi, ma anche e soprattutto agli umili laici che, come il ciabattino di Alessandria, esercitano la loro quotidiana disciplina, sopportazione, virtù in un inferno terreno le cui fiamme i grandi non sembrano intenzionati a mitigare, ma anzi paiono volere sempre più alte, a lambire la geografia degli oleodotti, arroventando il greedcapitalistico.
Il cristianesimo d’oriente è come sempre, ma quest’anno in modo particolare, protagonista del XXI Convegno Ecumenico Internazionale di Spiritualità Ortodossa che si apre oggi e fino al 7 settembre a Bose. La piccola comunità monastica, in cui l’intelligencija cristiana trova oggi la più vasta e concorde espressione, ha una vocazione culturale prima che politica. E’ in termini teologici che si parlerà del valore attuale della lezione dei padri bizantini d’Asia Minore, d’Egitto e di Siria, nel nome della comune radice della spiritualità ortodossa e cattolica e dell’unità dei cristiani.
Sono convenuti, insieme a studiosi di tutto il mondo (da Andrew Louth a Andrei Ple?u, da Symeon Paschalidis a Michel van Parys) e a eminenti rappresentanti della riforma (come l’anglicano Hugh Wybrew) e delle gerarchie cattoliche (da Mansueto Bianchi ad Antonio Mennini), anche e soprattutto metropoliti, vescovi e monaci appartenenti a tutte le chiese ortodosse: accanto ai delegati del patriarca ecumenico Bartolomeo e del patriarcato di Mosca, a insigni esponenti delle chiese greca, cipriota, rumena, serba, bulgara, armena, ai monaci accorsi dal Monte Athos, spiccano Michel Nseir, rappresentante del patriarcato di Antiochia, e il padre Ioustinos, messaggero di quella fortezza assediata che è oggi Santa Caterina del Sinai.
Nel suo discorso di apertura Enzo Bianchi, citando Le età della vita spirituale, l’opera di Pavel Evdokimov da cui trae titolo e ispirazione il convegno, sottolinea che “declinare una spiritualità cristiana nel tempo in cui l’uomo è giunto alla sua ‘maggiore età’ – come Kant definiva la svolta illuminista – significa mostrare che la fede cristiana sa parlare a tutte le età della vita”. E questo in una società “sempre più insicura, in cui l’età adolescenziale sembra estendersi indefinitamente; dove l’anzianità si articola in ‘terza’ e ‘quarta’ età, eppure scompare l’arte di invecchiare; dove domina l’orizzonte ristretto di un tempo alienato: il tempo dell’’esperienza’, del ‘tutto e subito’, del ‘vivere alla giornata’, con un dilettantismo che crea l’uomo e la donna instabile: ‘l’uomo di un momento’ della parabola evangelica di Matteo 13,21 e Marco 4,17”.
Ma, in contrasto con un occidente in cui la vita si è allungata tanto da farci riflettere su come invecchiare, in medio oriente si è protratta la disperazione. E’ allora compito del “vecchio” occidente, della sua “anzianità” (presbýtes) sacerdotale, fornire la mediazione propria del sacerdote antico (pontifex come “costruttore di ponti”), dare speranza alle nuove generazioni, propugnare una spiritualità adulta che fa scelte per la pace. D’altronde, se la chiesa è quel “laboratorio dove le crisi possono essere trasformate in vie di salvezza” (Vassilios Thermos), la maturazione spirituale avviene attraverso crisi di passaggio e fasi di prova proprie non solo dell’errante disegnato da Gregorio di Nissa o da Isacco di Ninive, per cui la ‘perfezione’ “sta in un movimento continuo e senza limite” (Andrej Desnickij), o del monaco che ascende i gradini della Scala di Giovanni Climaco, ma anche di ogni individuo se inteso come “monachos”, solitario Wanderer goethiano nel cammino in salita, nella klimax della vita.