Messa in latino, l'ultima tentazione
Una ricetta antica contro le seduzioni new age per restituire al rituale cattolico l'aurea mistica perduta: al monastero di Bose un convegno sulla liturgia
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“Evelyn sarebbe stato così felice di questo nuovo papa, avrebbe adorato questo delizioso trend reazionario del cattolicesimo!”, aveva esclamato, subito dopo l’elezione di Ratzinger, la grande Muriel Spark. Vecchia amica di Waugh, come lui convertita al cattolicesimo sull’onda di una lunga, snobistica tradizione intellettuale anglosassone, aveva aggiunto: “Benedetto reintrodurrà la messa in latino! Certo, i fedeli non capirebbero niente. Ma tanto non capiscono niente lo stesso, no? La messa è mistero comunque. La conversione di Evelyn al cattolicesimo era proprio questo, fascinazione estetica per le chiese, i rituali, per l'oscurità del culto...”. Poi però, quando aveva sentito parlare delle altre posizioni del nuovo papa, in fatto di contraccezione, procreazione assistita, aborto, il suo entusiasmo si era smorzato, e si era spento del tutto quando il papa aveva lanciato il suo attacco al relativismo: “Ma il cristianesimo è relativismo!”, aveva obiettato.
La sua posizione esemplifica bene l’atteggiamento di attrazione-repulsione che molti intellettuali oggi provano per il pontificato “deliziosamente reazionario” di Ratzinger. Perplessi dall’integralismo dottrinario, sono tuttavia attratti dall’idea di una controriforma liturgica capace di ricreare nelle chiese quel fascino oscuro che altri cercano nel New Age. Una liturgia-mantra, incomprensibile, arcana, potrebbe restituire al rituale cattolico, scaduto nelle messe beat, l’aura mistica perduta? Molti lo credono, ed è diventato elegante contrapporre alle pratiche orientali la messa cantata, magari in latino, il gregoriano, l’ambrosiano, o i monaci ortodossi dalle lunghe barbe. Il trend ha prodotto rubriche di recensioni alle messe, impagabili come quelle di Camillo Langone, e pie abitudini — “Vado a messa tutte le domeniche” — divenute status symbol più aggiornati di un viaggio negli ashram indiani.
Ma la tradizione cattolica è profonda e complessa anche nei suoi aspetti apparentemente esteriori. Proprio la questione della liturgia è centrale per farci capire che la teologia è una giungla e che ci si può perdere nella dogmatica. “Lo spazio liturgico e il suo orientamento”, il convegno appena concluso al Monastero di Bose, è stato una mappa preziosa.
La star mediatica era Michael Lang, il giovane oratoriano inglese autore di un libro appena tradotto in italiano (“Rivolti al Signore”, Cantagalli) sulla necessità di un ritorno, nella liturgia eucaristica, alla posizione in cui il presbitero, rivolto a oriente, dia le spalle ai fedeli, riformata dal Concilio Vaticano II. Idea già avanzata da Ratzinger, che ancora cardinale aveva scritto una lusinghiera prefazione all’edizione inglese del libro.
Per discuterne sono accorsi i più austeri protagonisti del dibattito sulla liturgia, da Albert Gerhards a Martin Wallraff a Robert Taft. E ci hanno dimostrato quanto poco la questione abbia a che fare con la sensiblerie estetica di noi laici, e quanto si leghi invece a posizioni politiche scottanti oggi nel mondo della chiesa. La necessità di “regole non fatte dall’uomo”, di “norme immutabili” all’interno della “legge liturgica”, che dev’essere “promulgata e riconosciuta dall’autorità suprema”, secondo le parole di Ratzinger, si collega non solo alle posizioni dell’enciclica Fides et ratio, ma anche a quelle del nuovo pontefice sui rapporti tra dogma e scienza, filosofia, società, famiglia.
Ora, però, l’attitudine dogmatica si rivela non solo ideologicamente rischiosa ma anche teologicamente insufficiente nel caso della liturgia eucaristica. Secondo Enzo Bianchi, entrambi gli orientamenti del presbitero sono legittimamente possibili, poiché ciascuno esprime una dimensione dell’eucaristia: se il prete volge le spalle ai fedeli si evidenzia quella del sacrificio, se si rivolge loro quella conviviale, di partecipazione alla Cena di Cristo. Quest’ultima è più adeguata alla sensibilità attuale, ritiene Bianchi contrariamente a Lang, e comunque di per sé ognuna è insufficiente a rendere il mistero. Nessuna delle due può essere presa a norma singolarmente o è superiore all’altra.
Il che ci porta alla questione cruciale dei rapporti fra le chiese: all’ammissibilità, all’interno di un’unica fede, di diverse espressioni, legate alla pluralità delle culture, delle dimensioni storiche e anche delle identità confessionali. Ci porta a ragionare di ecumenismo: a riconoscere e onorare la bontà della consuetudine delle liturgie ortodosse, in cui l’officiante è sempre rivolto a oriente, appunto come vuole Lang. Ma ci obbliga con ciò anche a non dimenticare che la scelta della celebrazione versus populum, compiuta dalla riforma conciliare, è coerente con una lunga tradizione cattolica. Del resto, che quello additato da Ratzinger e argomentato da Lang non sia un problema del cattolicesimo è stato dimostrato dal recente Sinodo sull’eucaristia, in cui nessun padre conciliare lo ha sollevato, pur davanti al papa.
Il dibattito liturgico cela quindi un confronto politico-ideologico, in cui sono in gioco valori cristiani come la tolleranza delle diversità, l’ammissione della molteplicità, l’accettazione dell’incircoscrittibilità del mistero della fede nei confini di norme che non siano calate nella profonda complessità della storia.
INTERVISTA A PADRE LANG
Padre Lang, l’uso liturgico che lei perora è lo stesso degli ortodossi. Giudica forse la tradizione bizantina più autentica di quella cattolica?
Sì, nel senso che testimonia l’uso più antico della chiesa e rende meglio lo spirito della liturgia eucaristica, in cui la dimensione sacrificale è prevalente. In questo senso, il mio libro va senz’altro verso un’apertura ecumenica.
Perché oggi dovremmo considerare quest’uso eucaristico preferibile a quello indicato per la chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II?
Dogmaticamente è superiore. Le due consuetudini non possono considerarsi equivalenti, perché la dimensione sacrificale è più importante e per così dire più pertinente di quella conviviale.
Cosa pensa del sogno di reintrodurre il latino nella messa?
Spero moltissimo che si avveri. Con la riforma della liturgia, alla nostra chiesa è venuta a mancare una lingua sacra, rimasta invece sia al giudaismo sia all’islam. L’occidente oggi ne ha estremamente bisogno. Inoltre, in questo mondo globalizzato, serve una nuova lingua comune per i cristiani. Il latino potrebbe essere la risposta cattolica alla globalizzazione.
Ma quanti capirebbero veramente la messa in latino?
La comprensione non è necessaria. Ciò che viene detto nella messa è, diciamo la verità, incomprensibile comunque. O è comprensibile a pochi iniziati. Il testo liturgico è esoterico in ogni caso. Ciò che conta è la sua ripetizione.
Un po’ come un mantra?
Sì, accetto l’accostamento.
INTERVISTA A PADRE BIANCHI
Padre Bianchi, l’orientamento del rito eucaristico perorato da Lang deve considerarsi preferibile a quello versus populum indicato per la chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II?
Entrambe le possibilità sono legittime, ma l’ipotesi del presbitero rivolto verso il popolo mette meglio in risalto il significato della messa come convito, in cui l’officiante e i fedeli siedono alla Tavola di Cristo. Ed è questa dimensione, oggi, la più opportuna.
Dunque lei è contrario all’idea di officiante e fedeli uniformemente “Rivolti al Signore”, per citare il titolo del libro di Lang?
Assolutamente no, tant’è vero che è l’uso adottato dalle chiese ortodosse orientali, che tanto amiamo e rispettiamo. E’ importante anzi che in alcune parti della messa sia il presbitero sia i fedeli guardino verso l’altare: nei riti d’introduzione, nel rito penitenziale, nelle collette, nell’oratio fidelium, nel credo — come facciamo del resto qui a Bose.
Ma non nel rito eucaristico.
No. Dal prefazio fino alla comunione si è alla Tavola del Signore.
Cosa pensa della reintroduzione del latino nella messa?
Non avverrà. E’ necessario che la liturgia sia recitata in lingue diverse all’interno delle diverse culture: la molteplicità delle lingue è il dono che il Signore ha fatto agli apostoli a Pentecoste, la festività che fra l’altro oggi ricorre.
Ma è in atto, comunque, una controriforma liturgica?
Non credo affatto. Alla svolta conciliare è seguita una rimeditazione, si stanno apportando ritocchi. Ma guardi, conosco bene Benedetto XVI: in materia liturgica, nessuno più di lui è fedele alla riforma del Vaticano II.