Hillman, profeta del tip tap
Studiosi, poeti, musicisti e un gallo nella Grande Mela per una straordinaria performance di controcultura in memoria del grande psicoanalista
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«Il teschio di mio padre / sorride alla luna del Mississippi / dal fondo del fiume Tallahatchie. / Le ossa di mio padre / sono sepolte nel fango di anse che snodano / i loro segreti verso il mare». Codino grigio e stivali, John Densmore, il batterista dei Doors, scandiva i versi di Etheridge Knight, il grande poeta afroamericano, accompagnandosi con il tamburo tribale che stringeva tra le ginocchia, accovacciato sul grande palcoscenico tra centinaia di piccole candele. Nelbuildingdella New York Society for Ethical Culture, affacciato su un Central Park sfolgorante nel sole primaverile, la penombra delle vetrate Art déco avvolgeva la platea gremita da un pubblico multietnico e multiforme di spettatori venuti da ogni parte dell’America e del mondo per onorare il loro maestro nel meno convenzionale dei riti.
Il primo tributo ufficiale a James Hillman, voluto da Margot, la sua vedova, e dal più strettomilieudi amici e seguaci, si è tenuto a New York qualche giorno fa, dopo un adeguato periodo di lutto, nella stagione del suo compleanno. Hillman, da grande laico, aveva sempre deplorato le celebrazioniin mortem, come quelle per il suo maestro Jung: «Come può non rivoltarsi nella tomba chi viene festeggiato dal mondo nell’anniversario del giorno in cui lo ha lasciato?». Così, Hillman è stato ricordato in maggio, un mese che amava quanto il dispiegarsi, nel fiorire della natura, dell’Anima del Mondo.
Tra le decine di voci - di psicologi e filosofi, come Richard Tarnas o Ed Casey o Sonu Shamdhasani, di letterati e teologi e mitografi, come Michael Ventura o David Miller o Michael Meade, il leader del Men’s Movement cui Hillman si era unito negli anni 80 assieme a Robert Bly, di attori come Helen Hunt, che al saggio di HillmanSul tradimentosi è ispirata per uno dei suoi ultimi film - c’era anche quella di Arthur, il gallo dellafarmdi Hillman nel Connecticut, che aveva cantato due volte, la mattina del 27 ottobre 2011, nell’istante esatto della morte del padrone di casa. E c’era la voce studiatamente ferina di un Calibano interpretato da Enrique Pardo, il fondatore del Panthéâtre francese, il Teatro di Pan, e quella pacatamente britannica di Richard Olivier, il regista shakespeariano del Globe Theatre, che evocava l’amore di Hillman per laTempesta: «La recita è finita, noi attori siamo spiriti rifusi nell’aria sottile, fatti della materia di cui sono fatti i sogni».
Le opere di Hillman sono state citate e recitate nelle varie lingue in cui sono tradotte, lette e amate. Dal Giappone al Venezuela, dal Brasile all’Italia, le definizioni dell’anima - «quel fattore umano ignoto che rende possibile il significato, trasforma gli eventi in esperienza e si comunica attraverso l’amore» -, dell’hillmanianoFare anima(«chiamate vi prego il mondo / la valle del fare anima», secondo i versi di John Keats, che introducono per Hillman alla comprensione della condizione patologica cronica della vita) e degli altri concetti chiave dell’«eresia» junghiana che sostanzia il pensiero originale del massimo pensatore americano del nostro tempo, sono stati restituiti al cuore dell’America più intellettuale, tra gli scintillanti monoliti di Manhattan, attraverso le loro emanazioni nelle altre culture.
Grandi poeti hanno raccontato i loro ricordi di Hillman e gli hanno dedicato versi inediti: i vegliardi Robert Bly, Louis Jenkins, Coleman Barks; e un’accorata Mermer Blakeslee: «Il tuo gallo canta ancora: / quel che non riusciamo a vedere / importa». Hillman stesso non aveva mai cessato, per tutta la vita, di scrivere poesie, tenendole nel cassetto. L’ultima, composta a Thompson poco prima della morte, breve e intensa come un haiku, è stata letta da Margot a chiusura.
Le basi del pensiero hillmaniano, per cui la psicologia non può non coniugarsi con l’arte, erano presenti anche, e altrettanto intensamente, sotto forma di note, ritmi, canzoni. Se l’ingresso del pubblico in sala era stato accompagnato da antiche ballate irlandesi per chitarra e violino e le immagini dell’infanzia ad Atlantic City daUnder the Boardwalk, cantata da Ian Magilton e Ellen Hemphill, seThey can’t take that away from medi Gershwin e laSeptember Songdi Kurt Weill raccontavano rispettivamente gli anni dell’amore e quelli della vecchiaia, il centro era la danza. Hillman era uno straordinario ballerino di tip tap. Il ritmo dei suoi passi, perfettamente inquieti e armoniosi, testimoniato dal grande schermo sullo sfondo, ripreso dal ballerino nero sul proscenio, sfumava nel ticchettio dei tasti dell’instancabile macchina da scrivere che ha prodotto ilSaggio su Pan,Il mito dell’analisi,Il codice dell’anima.
Il Tribute per Hillman è stato una performance di controcultura, un musical straziante, un atto artistico-letterario di forza e solennità atipica, anticonformista e profonda quanto lo era Hillman. Un ritratto tracciato da una patria in cui è stato ed è - contrariamente al detto - profeta.