Il vero volto dell'ultimo imperatore
È stato scoperto il ritratto di Costantino XI, che cadde nell’assedio turco nel 1453. L’affresco è riemerso in un monastero in Acaia
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Secondo un’antica e diffusa credenza, Costantino XI, detto Dragasse, l’ultimo imperatore bizantino, non morì sugli spalti di Costantinopoli all’alba del 29 maggio 1453, quando i giannizzeri del sultano turco Mehmet II riuscirono a penetrare la breccia aperta nelle mura teodosiane dai suoi enormi cannoni e il basileus si gettò nella mischia, preferendo morire che ripiegare nella seconda corte bizantina, Mistrà. Un angelo lo trasportò in un cunicolo sotto la Porta d’Oro, dove si addormentò e pietrificò: una statua di marmo sprofondata nei sotterranei della Città, che ogni notte avrebbe continuato ad animarsi e a combattere contro gli infedeli, lanciando con la spada scintille nel buio, in attesa del giorno della riconquista e dell’ingresso trionfale.
Inabissato nel sottosuolo della storia, occultato dal buio dei secoli, è stato fino ad oggi anche il suo volto. Di questo imperatore di nome Costantino come il primo, che non sapeva di essere l’ultimo, si conoscevano l’intraprendenza e la schiettezza, l’intelligenza e l’ineffabile gentilezza che sapeva unire alla prestanza fisica e alla bravura militare. Ma non il suo aspetto, tenacemente congetturato lungo i secoli in una fantasmagoria di ritratti virtuali: l’immagine di santo e martire delle icone e dei santini diffusi dalla devozione popolare del mondo ortodosso; quella di sacrificale eroe romantico, byroniano campione della lotta dei greci contro la turcocrazia, esibita nelle pose dell’iconografia risorgimentale; di paladino dei valori dell’occidente cristiano contro l’islam, come in certi dipinti vittoriani e come nelle due statue, l’una collocata accanto alla cattedrale di Atene, nella piazza Mitropoleos, l’altra a Mistrà, alle pendici del Taigeto; o tout court di supereroe, come nei vari peplum, nelle serie televisive e in uno sgargiante profluvio di fumetti.
Oggi la straordinaria scoperta annunciata da Anastasia Koumousi, direttrice dell'Eforato alle Antichità dell'Acaia, ha portato alla luce la vera figura dell’ultimo imperatore bizantino, sepolta non nei sotterranei di Costantinopoli ma fra gli strati di pittura del Katholikon dell’Antico Monastero del Taxiarches di Aigio, in Acaia, sulla costa nord del Peloponneso. Un sito non lontano da Patrasso, presidio cruciale del despotato di Morea di cui Costantino era titolare, prima della proclamazione imperiale, insieme ai fratelli minori Demetrio e Tommaso.
Sappiamo che alla metà del XV secolo il complesso fu ristrutturato da questi ultimi dopo che, a partire dalla fine del XIV, sotto la guida del monaco Leonzio di Monemvasia, aveva acquistato prestigio ed era diventato uno dei più importanti centri monastici del Peloponneso oltre che dei più antichi, la fondazione originaria risalendo già all’XI-XIII.
Dagli scavi, dai rilievi stratigrafici e dagli interventi di recupero emerge oggi un Costantino XI ancora più affascinante e magnetico di quello che i posteri hanno saputo inventare. E’ l’opera di un grande pittore, che raffigura il suo soggetto con tratti indubbiamente veridici e nello stesso tempo immateriali, com’è proprio dell’arte bizantina. Il naso scolpito, le labbra carnose circondate da una corta barba bipartita e i capelli castani sciolti sul collo sono sormontati dalla corona e circondati dal nimbo, simbolo della fonte divina del potere imperiale. E’ un volto di bellezza cristologica, dove i grandi occhi da Pantokrator guardano e non guardano lo spettatore, fissi su qualcosa che è al di là e in cui si specchia la sua e loro interiorità.
Il corredo esibisce in dettaglio le insegne della carica: il kamelaukion, la corona degli imperatori romani d’oriente; lo scettro lungo e sottile; il loros, la lunga stola ricamata, sovrapposta all’abito incrostato di pietre preziose, avvolta intorno alle spalle e fatta ricadere sulla mano sinistra, con le sue aquile bicipiti coronate d'oro e gli altri simboli della dinastia paleologa, non lasciano dubbi sul fatto che si tratti di un imperatore.
L’affresco è stato ritrovato nel secondo strato del Katholikon, in un contesto pittorico di straordinaria qualità. Che il pittore provenga da Mistrà è indicato da affinità stilistiche con i celebri affreschi, ad esempio, del monastero della Pantanassa, che lì sovrasta la roccaforte dei despoti. Risale con certezza alla metà del XV secolo: una datazione assoluta, che proviene non solo dai quarant’anni di esperienza della pittura paleologa maturata dalla scopritrice, ma anche dalle analisi fisico-chimiche.
Questo significa che non si tratta di un ritratto postumo, idealizzato dopo la morte in battaglia del basileus — quando, peraltro, l’emergenza creata dalla conquista turca avrebbe reso impossibile la realizzazione di un’opera simile, da parte di un pittore così abile e con materiali tanto preziosi quanto le analisi hanno dimostrato — né di un modello iconografico imperiale generico. Costantino era vivo quando fu dipinto il suo ritratto, e dal vivo il pittore di Mistra lo ritrasse, probabilmente quando la guerra civile che subito dopo la sua ascesa al trono nel 1449 aveva opposto Demetrio e Tommaso vide una tregua proprio grazie al suo arbitrato. L’affresco di Aigio lo ritrae prima dell’assedio di Costantinopoli. E smentisce definitivamente i dubbi di alcuni storici antichi e anche contemporanei sull’effettività della sua investitura imperiale, avvenuta per proclamazione a Mistrà e non per unzione a Santa Sofia, come sarebbe stato di rito.
“Questa Città, che fu un tempo fondata da Costantino, figlio di Elena, ora è stata miserabilmente perduta da quest’altro Costantino, figlio di un’altra Elena”, leggiamo in una lettera in cui il cardinale orientale Isidoro di Kiev comunicava a papa Nicolò V la notizia della caduta di Costantinopoli. Di Elena Dragaš, principessa serba, consorte di Manuele II e come l’altra Elena donna di grande intelligenza politica, Costantino era in effetti il figlio prediletto: da lei prese il nome Dragasse. La frase di Isidoro riprendeva la profezia circolante, secondo cui la Seconda Roma sarebbe caduta sotto il regno di un omonimo del suo fondatore, così come la Prima Roma, fondata da Romolo, era caduta nel 476 sotto il regno di un altro Romolo.
Ma Costantino XI aveva tutt’altra statura politica, strategica e militare del giovane Romolo Augustolo. Dopo avere difeso giorno dopo giorno e ora dopo ora la Città lungo i due mesi dell’assedio di Mehmet II, respinto il suo sterminato esercito e contrastato la titanica tecnologia bellica che il sultano aveva radunato sotto le mura teodosiane, le sue pur infinitamente inferiori forze continuavano a resistere ai nemici.
Fino a quella notte di maggio del 1453. Si narra che dopo avere perlustrato le mura fino alla campagna, visitato brevemente per l’ultima volta Santa Sofia, poi il palazzo imperiale per congedarsi dal personale di corte, salutando familiari e domestici a uno a uno fino all’ultimo valletto, chiedendo a ciascuno perdono per qualsiasi scortesia o indelicatezza potesse avere commesso in passato, galoppò sugli spalti in compagnia del suo segretario e amico di sempre, Giorgio Sfrantze, fino a una torre vicina, forse quella che oggi a Istanbul viene chiamata Torre di Sfrantze. Rimasero insieme per un'ora, il segretario e l'imperatore, conversando e tendendo l’orecchio ai rumori sordi che provenivano dal campo turco, indovinando nel buio pesto i preparativi dell’artiglieria nemica. Poi Costantino risalì a cavallo e si avviò verso il suo posto di comando, e la sua figura fu inghiottita agli occhi di Sfrantze da quel buio, da cui oggi è riemersa, disseppellita dalla calce dei secoli, in tutta la sua sacrale bellezza. Ridestato dal suo sonno di pietra, l’ultimo imperatore è tornato tra noi.