Se a Bisanzio torna il fantasma ottomano
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Un fantasma si aggira per l’Europa del ventunesimo secolo, dopo che il ventesimo ne ha liquidato sanguinosamente gli ultimi discendenti: l’impero ottomano all’inizio, quello zarista, poi sovietico, alla fine. E’ il fantasma di Bisanzio a ripresentarsi agli occhi delle migliaia di fedeli che hanno partecipato al grande spettacolo propagandistico allestito ieri a Istanbul, nella basilica di Santa Sofia riconvertita in moschea, dal loro leader Erdogan.
“Vi sono luoghi in cui la storia si produce con l’inevitabilità di un incidente automobilistico. Uno di questi è Istanbul, alias Costantinopoli, alias Bisanzio”, scriveva Josif Brodskij. Una sorta di karma geopolitico sembra determinare il riproporsi non solo della storia, ma anche dell’ideologia del potere in quell’istmo tra Asia e Europa dove Costantino volle portare il Sacro Graal dell’impero romano. Fisicamente, poiché stando al mito della fondazione di Costantinopoli il primo basileus vi trasferì il Palladio di Troia, a sua volta principio di legittimità portato da Enea a Roma, cui si aggiunse la reliquia della Vera Croce, simbolo del potere religioso affiancato a quello politico, e di quell’unione tra i due per cui l’autocrate si fa mediatore tra il popolo e il suo dio. Su questo duplice carisma, sacro e profano, Costantino costruì la Seconda Roma, nel momento in cui la gravitazione della storia suggeriva lo spostamento a est della Prima. Fu da suo figlio Costanzo II, poi da Teodosio II, infine da Giustiniano che fu eretta la basilica il cui nome stesso, in greco, evoca il principio di regalità di cui oggi Erdogan vuole appropriarsi. Se è vero che sono quasi sempre originariamente bizantini i più importanti edifici sacri convertiti in medio oriente alle nuove identità religiose, politiche, etniche dominanti, quasi a consacrarne con ciò il prestigio, è su Santa Sofia che si sono addensate lungo la storia le rivendicazioni dei poteri politici, islamici o cristiani, come quelli della Russia, zarista e non solo, l’altro ramo in cui la sovranità romana di Bisanzio si scisse dopo la conquista ottomana del 1453. O anche della chiesa cattolica. I cui crociati tuttavia, nel 1204, si distinsero per uno scempio di Santa Sofia che, perpetrato in pochi giorni, fu molto più devastante delle progressive trasformazioni portate dall’islam ottomano in cinque secoli.
Perché, oltre alla storia dell’ideologia, esiste la storia dei fatti. Ed è un fatto che la versione della storia ottomana cui la propaganda di Erdogan si ispira è errata, o forse deliberatamente falsificata. Il nuovo sultano vanta una sorta di transfert personale con Mehmet II Fatîh. Ma proprio nell’atteggiamento verso Santa Sofia contraddice la tolleranza e l’intelligenza del giovane conquistatore di Costantinopoli sottolineata già dai cronisti turchi. Racconta Tursun Beg, nella sua Storia del Signore della Conquista, che il giorno stesso del saccheggio, entrando e vedendo un soldato che si accingeva a smantellare con l'ascia l'antico pavimento di marmo, gli fermò il braccio: la basilica e gli altri edifici della città, disse, lasciali alla mia cura. Così avvenne. La conservazione monumentale di Santa Sofia, così come di molti altri edifici sacri che non furono neppure convertiti al culto islamico, fu gelosa e attenta per almeno tutto il periodo aureo dell’impero ottomano. Le scialbature di quegli splendidi mosaici che oggi di nuovo sono stati coperti risalgono all’età della sua decadenza, e ciò nonostante la visione di Santa Sofia continuò a suscitare grandi emozioni in tutti i viaggiatori che visitarono Costantinopoli, da Byron a De Amicis. Nel restaurarla su incarico di Abdülmecid I a metà dell’Ottocento i fratelli Fossati ne riportarono alla luce lo splendore figurativo, che poco dopo Atatürk volle liberamente accessibile a tutta l’umanità, a riprova dell’originaria vocazione ottomana all’incontro fra civiltà.
Ma oggi che nello scacchiere politico sembrano tornati a confrontarsi i vecchi imperi eredi di Bisanzio, il nuovo sultano immola la storia dei fatti a quella dell’ideologia. Mentre i fedeli rientrati a Santa Sofia si inginocchiano al cospetto di Allah, l’autocrate li guarda soddisfatto, sentendo di avere riacquistato il ruolo di tramite fra gli uni e l’altro sancito dal principio di regalità cui inclina la sua propaganda.
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