Istanbul. La tolleranza minacciata
La Turchia dopo i quattro attentati in cinque giorni. «Ci sono luoghi», scriveva Brodskij parlando di Istanbul, «in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico, luoghi in cui la geografia provoca la storia»
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«Ci sono luoghi», scriveva Brodskij parlando di Istanbul, «in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico, luoghi in cui la geografia provoca la storia». L'eredità dell'impero bizantino ha fatto della storia turca una storia di tolleranza religiosa. Ai fratelli perseguitati nell'Europa oppressiva, come ha ricordato in un recente libro Robert Mantran, i rabbini scrivevano da Istanbul: «Qui nella terra dei turchi non abbiamo di che lamentarci, tutti viviamo in pace e libertà». Oggi la Turchia sta scontando la sua Realpolitik millenaria: è lo Stato islamico moderato storicamente più vicino a Israele; ha un governo islamico moderato che auspica l'ingresso nell'alleanza economica dell'Europa e fa parte dell'alleanza militare dominata dall'America, con coloro che i baatisti denominano «i cani» e Bin Laden «i crociati invasori». Al governo insediato sul Bosforo la storia ha attribuito ancora una volta il sanguinoso compito di mediazione tra civiltà che la sua posizione geografica a cavallo del Bosforo gli aveva già assegnato da millenni. E non è stato mai vivo, convulso e accanito come ora il confronto tra identità islamica e vocazione cosmopolita della Turchia. Quella che si gioca oggi è una partita decisiva per lo Stato erede dell'impero multietnico bizantino, poi ottomano, come per altre cruciali zone del globo appartenute all'impero multietnico bizantino, poi russo e sovietico, ora altrettanto lacerate dalla pressione dell'Islam. Perché il fantasma di Bisanzio aleggia dai Balcani al Caucaso, su rivolgimenti e violenze, guerre e terrori, ovunque si stia ricostruendo un'identità nazionale dopo lo smembramento, all'inizio e alla fine del Novecento, dei due imperi eredi di quell'unico.
A chi lamenta lo spostamento a Est del baricentro della Nuova Europa, quella già fatta e quella ancora in fieri, si deve ricordare che da duemila anni i territori dell'ex-impero ottomano e delle province passate poi all'impero sovietico hanno costituito geograficamente e politicamente il centro di ciò che riconosciamo come nucleo formativo della nostra comune civiltà europea: la formidabile combinazione di cultura umanistico-filosofica greca e politico-giuridica romana che nella superpotenza del Medioevo dominò per undici secoli il Mediterraneo e le sue zone di irradiazione. Ben diversa l'eredità culturale di altri Stati islamici, come l'Egitto o la Siria, fin dal VII secolo usciti dal controllo politico e dal sistema economico dell'impero romano. Il cosmopolitismo, la tolleranza, la vocazione multireligiosa e multietnica dell'impero ottomano fanno dunque parte del suo imprinting storico in quanto eredità diretta dell'impero di cui alle soglie dell'età moderna, poco prima che la stessa America venisse scoperta, furono politicamente i conquistatori ma culturalmente i vinti. Dopo la presa di Costantinopoli del 1453 una parte della classe dirigente bizantina, spregiudicata e plurisecolarmente assuefatta alla regola dell'assimilazione etnica, si turchizzò e influenzò in maniera determinante iniziative e strategie della Sublime Porta. Fu ugualmente una élite cosmopolita quella che, formata negli Anni 30 dell'Ottocento nelle scuole francesi e inglesi, rientrata nelle file del partito riformatore e nelle logge filoccidentali dell'impero negli Anni 60, si fuse con francesi ed europei, levantini, ebrei, greci, armeni e anche musulmani in centri di propaganda da cui si formò, a Istanbul e a Salonicco, l'ideologia del movimento giovane-turco. Contrapposta all'autoritarismo dell'ultimo sovrano ottocentesco, Abdùl-Hamììd III, espressa nella rivolta del 1909, trasfusa dieci anni dopo, alla fine della Grande Guerra, nel nazionalismo kemalista, culminata nella proclamazione della repubblica e nella deislamizzazione degli Anni 20 e 30 del Novecento, l'utopia politica ispirata dai Giovani Turchi tentava di rifondere insieme quanto restava delle due anime, orientale e occidentale, del millenario impero radicato sull'istmo tra Asia e Europa. Oggi, cento anni dopo, la Turchia è nuovamente e da più lati assediata dall'integralismo religioso. Riuscirà a mantenere entrambe le sue anime, a portare intatta all'Europa la sua millenaria complessità?