Bisanzio riscattata
Il mea culpa del Papa
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Era ora. Karol Wojtyla ha chiesto scusa per Bisanzio. Il mondo degli storici, oltreché quello degli storici della Chiesa, era stato deluso dal Papa un anno fa, quando nella Giornata del Perdono per i misfatti della Chiesa cattolica si era scusato con tutti ma non con Bisanzio. Ed ecco che, l'altra mattina, ha recitato l'atteso mea culpa per il sacco di Costantinopoli del 1204, e non le campane a morto promesse dai monasteri dell'Athos, ma gli applausi del Sinodo Ortodosso hanno accolto il primo papa di Roma che ha toccato il suolo greco dopo lo scisma. «Il fatto che i saccheggiatori fossero cristiani latini ha detto Giovanni Paolo II riempie i cattolici di profondo rincrescimento». Il sacco di Costantinopoli del 1204 è una tragedia senza paragone nella storia. Gli orrori dei crociati sono testimoniati sia dagli storici bizantini sia dai cronisti occidentali e slavi, e anche da papa Innocenzo III, sconvolto, nel suo epistolario. La Città che per nove secoli era stata la capitale della civiltà cristiana era piena di tesori inestimabili, eredità dell'antica cultura greca. I crociati cattolici si precipitavano urlanti per le strade, strappando tutto ciò che luccicava e distruggendo ogni cosa che non potessero trasportare, fermandosi solo per assassinare o violentare. Non risparmiarono né monasteri, né chiese, né biblioteche. Perfino i saraceni, annotò Niceta Coniata, sarebbero stati più misericordiosi. Lo spirito di misericordia e di tolleranza dei cattolici è ora al banco di prova. In un discorso esauriente e calibrato, Giovanni Paolo II non ha evitato di toccare, oltre alla ferita aperta della Quarta Crociata, i principali problemi sul tavolo dell'ecumenismo. Ha reso omaggio alla tradizione cristiana che ha resistito alla turcocrazia: «Roma - ha detto - guarda con sincera ammirazione la Chiesa ortodossa di Grecia per il modo in cui ha conservato il proprio patrimonio di fede e di vita cristiana». Ha rassicurato sia pur teoricamente il mondo ortodosso sulla questione del primato di Roma e sull'invadenza missionaria cattolica, affermando che «la comunione piena» non vorrà dire «né assorbimento né fusione». Ha accennato al tema degli Uniati, pur senza nominarli, che rimangono il più grave dei problemi aperti per l'ecumenismo. Anche se non ha menzionato la fatale disputa sul Filioque, ossia sulla processione dello Spirito Santo, perno dello scisma del 1054, gli si è comunque non casualmente riferito, dicendo: «Dobbiamo essere tutti più aperti e attenti a quanto lo Spirito dice ora alla Chiese». Se farà veramente quello che il suo discorso sembra annunciare, il papa polacco potrà essere affiancato per filellenismo ed ecumenismo a Pio II, il grande Enea Silvio Piccolomini, il papa-simbolo di quell’«umanesimo cristiano» che Wojtyla ha evocato come elemento di unità tra Oriente e Occidente. Che lo Spirito Santo proceda dal Figlio o attraverso il Figlio, insomma, certo è che, a quanto pare, lo Spirito procede.