All'ombra del corno pieno di fumo
Istanbul: tra la fuliggine dei vicoli e il grigio sporco delle case, la città imperiale ha fatto dell'inquinamento un valore estetico
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Ci sono luoghi in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico, luoghi in cui la geografia provoca la storia. Uno è Istanbul, alias Costantinopoli, alias Bisanzio» ha scritto Josif Brodskij (Fuga da Bisanzio, Adelphi). Se andate a Istanbul, cercate di cogliere subito la sua essenza di istmo tra l'Europa e l'Asia, il trasbordo continuo, reale e metaforico, dell’una nell’altra. Affacciandovi dai «vapurs» bianchi che salpano, affollati al tramonto di impiegati e pendolari, da Osktidar e Kadikoy, vedrete profilarsi la doppia sponda in cui l'Oriente, come diceva Jean Cocteau, tende verso l'Europa «la sua vecchia mano ingioiellata».
Dall'Europa o dall’Asia, arrivate comunque navigando e confrontate le vostre impressioni con quelle dei viaggiatori medioevali che entrando nel Bosforo descrivevano la «foresta d’oro e di reliquie» avvistata dal largo come una fiabesca isola vulcanica: «La sagoma immensa di Santa Sofia, nella foschia dell’alba, mi parve una montagna» scrisse nel 1300 Pero Tafur. Oggi, restaurata da poco, potete visitarla tutti i giorni tranne il lunedì. Non entrate fra le 11 e mezzo e le 13 perché a quell’ora sono chiuse le gallerie delle tribune, con i loro mosaici. Arrampicandovi lassù, potrete squadrare i volti dell’imperatrice Zoe e del suo terzo marito Costantino IX Monòmaco, i protagonisti della più efferata cronaca di corte bizantina, la Cronografia di Psello.
Il nome Istanbul proviene dal greco demotico «stin poli», «in città»: per tutto il Medioevo Costantinopoli era la città per eccellenza, la Città delle città, come la chiamavano i cinesi. Durante gli 11 secoli dell'impero di Bisanzio e per tutto quello ottomano, sino all'Istanbul fin de siècle con la «splendeur déliquescente» dei palazzi degli ultimi padishah descritti da Gérard de Nerval, un alone di luce circondava l’architettura della Polis: il riverbero dell’oro delle cupole sull’acqua del mare, che nel Corno d'Oro «penetra la città», come annotava il pellegrino russo Ignazio di Smolensk.
Oggi, a Istanbul domina invece una gamma di toni che va dal nero al perla passando per il più frequente, il grigio sporco. Sul Mar Nero, l’inquinamento è divenuto estetica: gli scarichi delle petroliere oleosi e cangianti fra i pontili di Galata (Brodskij: «Basterebbe raffinare quel petrolio per assicurarsi di che campare lautamente»), la penombra fuligginosa dei vicoli della città vecchia, il nero ossessivo dei lustrascarpe, l’ombra dei caffè invasi dal fumo.
L’Istanbul moderna, con i suoi misteri, i sotterranei abitati da clochard, le baracche prefabbricate (gecekondu, letteralmente «sorte in una notte») sulle discariche della periferia asiatica, ha ispirato una letteratura, dal leggendario Libro nero di Orhan Pamuk (Frassinelli ) alle Fiabe dalla collina dei rifiuti di Latife Tekin (Giunti). La Polis antica era invece una meta decisiva del Grand tour esotico-religioso dei pellegrini. Il giro di Costantinopoli che i diversi diari medioevali annotano è sempre identico, ricorrono mirabilia e leggende: la croce di Cristo, la tavola di Abramo, il letto di tortura dei martiri, il baule dei vestiti della Vergine, il calice di zaffiro, la testa di Gregorio di Nazianzo, il teschio di Santo Stefano Iuniore.
Oggi che, come ha scritto David Lodge in Notizie dal paradiso, «l’itinerario turistico è ormai un pellegrinaggio secolare, i souvenir hanno preso il posto delle reliquie, le guide turistiche quello dei libri religiosi», il giro canonico del visitatore prevede almeno il Gran Bazar, un labirinto di 200 mila metri quadrati tra banchi, botteghe e negozi, non lontano da l’Arco di Teodosio: il Bazar Egiziano, davanti al ponte di karakoy; e il Museo dei Tappeti e dei Kilim, a sinistra dell’ingresso principale della Moschea Blu (Sulta nahmet Cami).
A Istanbul convivono non solo le etnie, ma, a strati, le epoche, forse tutte. Ultimamente la bizantinistica ha molto studiato e riflettuto sull’architettura di Costantinopoli come cuore artificiale e chiave per decrittare la simbologia politica dell’impero «romeo», che continuava senza interruzioni il mandato storico di quello romano. Il Gran Palazzo e completamente trasfigurato nel Serraglio della Topkaki, dentro cui si trova la più antica chiesa bizantina di Costantinopoli, Sant’Irene.
Dell'Ippodromo (At Meydani), nella zona della moschea di Sultanahmet (da cui prende nome tutto il quartiere della città antica), sono ancora visibili l'obelisco di Teodosio e un troncone della colonna serpentina di Delfi, che segnava la Spina dello stadio e in cui gli antichi viaggiatori credevano fosse instillato veleno di serpente.
Tra gli edifici bizantini il più importante, dopo Santa Sofia, è la Kariye Camii, l'antica chiesa di San Salvatore in Chora. Gli affreschi sono stati restaurati negli anni 50 e 60. I ritratti di Teodoro Metochite o della monaca Melania: sono al vertice dell'arte bizantina. Nelle nicchie delle gallerie laterali potrete visitare le sepolture degli ultimi imperatori Paleologhi, con i ritratti murali che li rappresentano.
E' indispensabile il giro delle lunghe mura teodosiane — e non solo per i resti del cosiddetto palazzo di Costantino Porfirogenito, dalle finestre intarsiate di marmo rosso e bianco, presso la Egri Kapi. Dichiarate “patrimonio dell'umanità” dall'Unesco, completamente in rovina e fortunatamente non più sottoposte al pittoresco restauro turco (sospeso dopo che la nuova giunta comunale islamista ha preferito riservare i propri fondi alle moschee), contano quindici torri e altrettante porte: da quella di San Romano, oggi di Edirne, i giannizzeri di Mehmet II irruppero la mattina del 29 maggio 1453.