Dopo il film, i mille volti di Alessandro
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Quale fosse l'aspetto di Alessandro, scrive Plutarco, lo indicano soprattutto le statue che gli fece Lisippo, l'unico scultore che lui aveva ritenuto degno di ritrarlo, l’unico che aveva saputo cogliere quella sua maniera di tenere il collo sempre leggermente piegato verso sinistra. Dicono che avesse la pelle bianchissima e le guance spesso arrossate. Fin da ragazzo amava e collezionava i libri, adorava la filosofia ed era stato iniziato dal suo maestro Aristotele anche alle dottrine più segrete e difficili. Sapeva che per un re conta più dominare se stesso che gli altri. Era stato un adolescente ascetico e anche da adulto amava contrapporre la bellezza della propria castità a quella delle prigioniere persiane. Gli piaceva controllarsi anche nel cibo. Diceva che i piatti più lussuosi erano: per colazione avere marciato nella notte e per pranzo avere consumato quella leggera colazione.
Questo lo dice Plutarco nella Vita di Alessandro, ora ritradotta per Bruno Mondadori da Monica Centanni (210 pp., 12 euro). Cosa c’entri con l’Alessandro-Colin Farrell del film di Oliver Stone non si sa. Ma il fatto è che non c'entra neanche con i molti altri Alessandri del presente e del passato che abbiamo visto sfilare uno dopo l'altro in libreria, da quando il battage mediatico hollywoodiano ha risvegliato il mito del più affascinante e misterioso eroe della storia antica.
Non c'entra con l'Alessandro-criminale di guerra dei Maccabei e dello storico cristiano Orosio, che, come ricorda Luciano Canfora nell'introduzione al Romanzo di Alessandro appena uscito per Sellerio (180 pp., 9 euro), lo descrisse come “una belva assetata di sangue". Non c'entra con l'ininterrotta tradizione leggendaria che depositò per tutta l'Eurasia, lungo secoli e secoli, un Alessandro fiabesco e allucinato, che dai poemi popolari alle battute del teatro d'ombre, dai Romans d'Alexandre ai Racconti di Canterbury, dialoga con dèi e fantasmi di eroi, guerreggia con popoli sempre più remoti e assume sempre nuovi e più strani volti.
Gli Alessandri moderni non sono in fondo che ipostasi del romanzo di Alessandro, e di fronte alle tante, contraddittorie accuse mosse alla “storicità" dell’Alexander di Stone, Corrado Petrocelli ha ribadito “che lo stesso imbarazzo di fronte al vario, articolato, complesso iter che condusse alla nascita e alla diffusione delle storie su Alessandro investì anche gli antichi". Robin Lane Fox, il discusso storico oxfordiano al cui Alessandro Magno (Einaudi, 574 pp., 13,50 euro) si è ispirato il film di Stone, nel suo ultimo libro appena uscito in America, The making of Alexander, ha raccontato le riprese, durante le quali ha fatto non solo da consulente ma anche da comparsa a cavallo nelle scene di battaglia. E anche lui ha difeso il film adducendo l'inafferrabilità storiografica del soggetto. Perché, come ha scritto Pietro Citati nel suo Alessandro Magno (Adelphi, 136 pp., 7,50 euro), “nessun altro uomo giunse forse a comprendere in sé tante persone diverse, distribuite attorno ad un centro che continua a sfuggirci, cosi che non ci sembra appartenere alla razza dei potenti, ma a quella degli scrittori immensi ed anonimi che portano nel proprio grembo tutte le creature umane".
Nella letteratura italiana la duplicità di Alessandro era finora riassunta dal famoso distico dell’Alexandros di Pascoli, che usò per rappresentarla il leggendario contrasto del colore degli occhi: “Nell’occhio nero lo sperar più vano, nell’occhio azzurro il desiar, più forte". Altri tempi. Ora, in Italia, dopo l’ormai non più fresca trilogia mondadoriana di Valerio Massimo Manfredi, la celebrazione dell'ambivalenza prosegue con l'Alessandro Magno ieri e oggi (Bur, 180 pp., 8,00 euro) dell’omonimo Cecchi Paone, che dopo aver fatto dell'eroe il suo alter ego e il testimonial della sua dichiarazione di bisessualità lo ha definito “una personalità originalissima in cui maschile e femminile si intrecciarono armonicamente e inestricabilmente".
“Doveva Colin Farrel avere le mèches?", si è pensosamente interrogato Lane Fox. “Bé, ovviamente era bisessuale”, ha dichiarato Farrell. “Era così a quei tempi la società". Il profilo apollineo di Alessandro è stato adottato come logo dal più celebre dei siti gay, il Ministero della Cultura greco ha ritirato la cooperazione al film di Stone e il romanzo di Alessandro si è evoluto in saga gay. Il ragazzo persiano di Mary Renault (Corbaccio. 478 pp., 16.00 euro) racconta la storia di un certo Bagoa, che vive con lui “una relazione passionale, salda e sincera: un rapporto che sarà troncato solo dalla morte del Conquistatore". Più cauto Steven Pressfield, che in lo Alessandro (Rizzoli, 467 pp., 17,50 euro) arriva a un tale grado di identificazione con l'eroe da sentire il bisogno di giustificarlo: “È un amore non diverso", fa dire ad Alessandro, “da quello che lega le fanciulle: ha una sua fisicità, di gran lunga superata però dall'aspetto filosofico". La riscoperta di Alessandro fa fare nuove scoperte agli scrittori.
E anche alle scrittrici, che quasi per scommessa si intestardiscono, come Valeria Palumbo, su Le donne di Alessandro (Sonzogno. 221 pp., 16 euro): anche loro si raccontano, garbatamente, in prima persona e “mettono a nudo l'uomo che si nasconde sotto il condottiero". Ai bambini non è stata risparmiata L’amazzone di Alessandro Magno, indubbiamente ben scritta da Bianca Pitzorno, che basandosi sull’antica leggenda dell'incontro con la regina delle Amazzoni inventa una certa Mìrtale, bambina di sangue reale allevata da Alessandro, non per nulla, come un maschietto.
A cavallo, è il caso di dirlo, tra saggio e romanzo si colloca l'Alessandro Magno dello storico Georges Radet (Bur, 345 pp., 9,50 euro), un libro più serio di quanto la sua gradevolezza possa lasciar credere ai non antichisti. Qui l'imprescindibile ambiguità di Alessandro è catalogata nei termini di Nietzsche come oscillazione tra il lato “apollineo" derivante dal padre Filippo e quello “dionisiaco" ereditato dalla madre Olimpiade, la torbida Angelina Jolie del film.
E’ invece senz'altro un romanzo storico quello, monumentale, di Paul Doherty, che presenta Alessandro come “una figura camaleontica e un attore consumato, che ingannò deliberatamente sia la sua corte sia i suoi nemici".
Nei tre volumi pubblicati in Italia da Newton Compton (Alessandro Magno e la vittoria impossibile, 255 pp.. 12,90 euro; Alessandro Magno e l’uomo senza Dio. 240 pp., 13,90 euro; Alessandro Magno e le porte degli Inferi, 287 pp., 12,90 euro), il protagonista è un certo Telamone, amico e medico di corte nonché, nella miglior tradizione anglosassone, improvvisato detective. Il test della vitalità di un mito è del resto la sua presenza a tutti i livelli, alto, basso, medio. Ma nella storia del sovrano macedone, narrata nei due volumi dell’Anabasi di Alessandro di Arriano (Fondazione Valla. 1448 pp., 54 euro), così come nei saggi storici e archeologici tradotti per l’occasione un po’ da tutti gli editori, serpeggiano anche temi meno frivoli.
Se Le grandi battaglie di Alessandro Magno di Andrea Frediani (Newton Compton, 283 pp., 14,90 euro) si pongono, con l’ausilio di accattivanti grafici, l'implausibile obiettivo di “depurare le imprese di Alessandro dalla incredibile mole di leggende", il testo più documentato sulla genesi del mito è il magnifico Alessandro Magno. Immagini come storia di Paolo Moreno (Istituto Poligrafico dello Stato, 539 pp., 105 euro). Ma è forse l’Alessandro Magno di Bosworth (Rizzoli, 495 pp., 20 euro) la miglior analisi apparsa in questo periodo sull’argomento, pone al lettore problemi attuali come il confronto-scontro tra civiltà occidentale e orientale e le basi ideologiche e strategiche dell'impero globale. La fascinazione del potere è l’elemento fondante del mito di Alessandro, sosteniamo con Canfora. Sono in effetti molte le cose che la sua monarchia orientale ha da insegnare al tardo imperialismo occidentale: i dispositivi per “vincere la pace" tra popoli ostili, la capacità di creare modelli politici ibridi, l'impervia via per innestare l'eredità della cultura greca, e quindi anche almeno in parte dell'antica democrazia, sulla millenaria tradizione del dispotismo asiatico. Anzi, Alessandro resta oggi il primo termine di paragone storico per chi voglia pronunciarsi sulla controversa, ipotetica alternativa tra uno scontro di civiltà e una esportazione della democrazia in oriente.
È forse questa la vera causa del corto circuito culturale innescato dall'ambiguo film sul potere di Oliver Stone.