Apollo e Dioniso. Il gioco delle parti
Due divinità davvero contrapposte?
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All'inizio della Nascita della tragedia Nietzsche descrive il carro di Dioniso. Coperto di fiori e di ghirlande, è tirato dalla pantera e dalla tigre, gli animali sacri al dio insieme col toro, il capro, l'asino, il leone, il serpente. Se trasformassimo in un quadro L'inno alla gioia di Beethoven, aggiunge Nietzsche, il quadro sarebbe proprio questo. Per semplificare al massimo la sua teoria, il dionisiaco è lo spirito dell'irrazionale, contrapposto alla razionalità apollinea, a «quella moderata limitazione, quella calma piena di saggezza del dio plastico». Come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, l'arte, scrive Nietzsche, nasce dalla dialettica del dionisiaco e dell'apollineo, «attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente». Il filosofo della Volontà di potenza riconduceva lo sguardo solare di Apollo a quello dell’atomo irretito dal velo di Maia» di Schopenhauer. Se Apollo, tutto armonia e equilibrio, era «la magnifica immagine divina del principio d'individuazione», sviscerare il dionisiaco significava mettere in discussione la pretesa «serenità» dei greci e della loro arte e smascherare anche nel mondo greco il pessimismo, l’«orrore» orientale «che afferra l'uomo quando improvvisamente perde la fiducia nelle forme di conoscenza dell'apparenza». Non a caso l'arcana gestazione e nascita «maschile» di Dioniso, cucito nella coscia di Zeus, trova un altrettanto misterioso parallelo nella tradizione delle Upanishad, dove il dio Soma, suo equivalente indiano, patrono delle bevande inebrianti, è cucito nella coscia di Indra. L'essenza del dionisiaco si raggiunge quando «a questo orrore aggiungiamo il rapimento estatico», che noi moderni possiamo comprendere solo attraverso «l’analogia con l'ebbrezza», ma anche contemplando ancestrali retaggi della vita contadina come il ballo di San Vito. «Ci sono uomini che per mancanza d'esperienza o per ottusità compiangono questi fenomeni come "malattie popolari": i poveretti non sospettano quanto cadaverica e spettrale apparirebbe la loro "sanità" se passasse loro accanto fremendo Dioniso». La contrapposizione apollineo/ dionisiaco tracciata da Nietzsche può piacere o non piacere (a Wilamowitz non piaceva), essere o c'è dell'altro. Nel famoso Vaso Francois di Firenze il volto frontale che guarda negli occhi il visitatore è bloccato in un'espressione innaturale, statica e insieme tesa: in realtà, è stato dimostrato, ha una maschera. L'adepto che indossava la maschera diventava «altro» da se stesso, come Dioniso era il «dio-altro» dal consesso olimpico. Pausania racconta la storia di un'enigmatica maschera di legno trovata in fondo al mare da certi pescatori di Lesbo: subito fu considerata epifania di Dioniso. Perché «altro», in campo dionisiaco, era sinonimo di «tutto».
Essere «altro» dall'individuo significava coincidere con la «totalità». Almeno in questo Nietzsche aveva ragione. Ciò che gli sfuggì in parte fu, forse, l'apollineo. E fu un peccato perché, se oggi fosse vivo e leggesse, ad esempio, Apollo con il coltello in mano di Marcel Detienne (Adelphi), sarebbe ancora più rinfrancato sulla pretesa «serenità» del mondo greco: vedrebbe che anche il suo lato apollineo è tutt'altr0 che rasserenante, anzi, è forse ancora più terribile. Già Eschilo lo sapeva: Apollo l'Obliquo, il Signore dei Topi, è un dio impuro, sanguinario, esiliato dal cielo, pieno di torbide passioni.
La più antica e diffusa tra le etimologie del suo nome lo fa discendere dal verbo greco apolluso, «distruggere», «annientare», come fa appunto lo Sterminatore nel campo acheo all'inizio dell’Iliade. Secondo un'altra etimologia, è dalla radice indoeuropea da cui si forma il latino oculus che vengono sia il suo nome sia la sua qualità solare. Il dio dalla faretra tintinnante è «colui che da lontano colpisce nel segno», il Punitore che invia le pestilenze ai cittadini, che massacra e scuoia i suoi rivali. È il dio carnefice che brandisce il suo coltello negli altari più immondi e pestilenziali. Sotto le radiose apparenze della gaiezza e del canto, Apollo introduce i greci nel mondo dell'ignoto. È l'Oscuro, il dio che nasconde la potenza segreta dei canti magici e degli incantesimi, il più misterioso e multiforme degli dèi. Tutto è incerto in lui come nello stato di follia. Forse potremmo oggi definire la dimensione apollinea come lucida e perversa follia.
La dimensione dionisiaca appartiene inizialmente più a Cristo vite, che al suo avversario, il Diavolo, e solo in seguito a quest'ultimo sarà attribuito il piede caprino di Pan. Ma alle origini e nella sostanza è la dimensione apollinea a essere la più diabolica. Il greco diabolos è già lessicalmente più prossimo all'obliquità, alla doppiezza, all'ambiguità apollinea che alla frontalità dionisiaca.
Meglio che Nietzsche non abbia capito sino in fondo la terribilità dell'apollineo: forse sarebbe impazzito prima del tempo, privandoci di alcuni bei libri.