700 avanti Cristo. Odissea nello spazio
Il viaggio di Ulisse? Un itinerario astrale: la tesi rivoluzionaria del filologo Gioachino Chiarini
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Dov’è l'isola di Calipso? Dove udì, Ulisse, il canto delle Sirene? Dove Circe trasformò i suoi compagni in porci? Queste tappe dell'Odissea, l'archetipo di tutti i viaggi, sono state identificate con un'infinità di luoghi geografici, sempre tuttavia incompatibili fra loro oltre che con le indicazioni dal poema. Perciò sono state via via avanzate le teorie più diverse e astruse: chi ha racchiuso tutto l'itinerario dell'Odissea in pochi chilometri di costa jugoslava, chi si è spinto fino alle cascate del Niagara. Ma in realtà chi volesse davvero trovare l'isola di Calipso dovrebbe puntare un telescopio verso il cielo. Perché quello di Ulisse è un itinerario astrale, interplanetario, ed è per questo che non si è finora mai riusciti a rintracciarlo in terra. Perché può leggersi secondo uno schema di discesa e ascesa planetaria tanto preciso e inoppugnabile quanto onnipresente nel mondo antico, non solo nell'Odissea, ma anche negli altri capolavori dell'epica, fino all'Eneide. È questa la nuova teoria avanzata da un filologo classico, Gioachino Chiarini, accademico di fama, autore di saggi fondamentali oltreché, per la Fondazione Valla, della celebrata traduzione integrale delle Confessioni di Agostino. La sua è una teoria tanto sorprendente e rivoluzionaria quanto rigorosamente e minuziosamente provata nel suo I cieli del mito, appena uscito da Diabasis (pp. 352, € 22).
Professor Chiarini, il fallimento degli studi geografici «positivi» sull'Odissea comparativistici, etnologici, pan-mitologici era ormai evidente. Ma come le è venuta l'idea di trasferire addirittura l'Odissea nello spazio?
«Il primo passo è stato individuare, nel viaggio di Ulisse, il tracciato del labirinto, e la scoperta della corrispondenza delle sue tappe di avvicinamento e allontanamento da Itaca rispetto a uno schema ritmico a movimenti alternati da Oriente a Occidente e da Occidente a Oriente, identico ai passi dell'antica danza labirintica. Ossia di quella che per gli antichi era la danza delle danze. Riverbero terrestre dell'ordine zodiacale e celeste - la danza degli astri in cielo, quella del labirinto in terra – commemorava, esaltava e propiziava, mimandolo, il rapporto tra l'uomo e l'ordine astrale: era un modo per esorcizzare la rottura dell'ordine e dunque il male, per riappacificarsi con le forze divine del cosmo». Quali forze? «Gli dèi. Di fatto è questo ciò che esprimono nel politeismo: sono riferimenti mentali. Il cosmo celeste dà un'immagine dell'universo che serve all’uomo antico per interpretare tutto il resto, e per rispondere alla domanda prima e ultima: la struttura dell'invisibile in rapporto al visibile, che i greci desumono dalle culture tradizionali dell'Oriente. È in fondo il grande problema filosofico greco dell'uno e dei molti: l’uno, la struttura immutabile, e il molteplice, il flusso della vita che cambia. Tutto si logora, tutto si metamorfosa, ma il grande pannello cosmico di sfondo resta lo stesso. Per questo, al momento di stabilire in che spazio Ulisse compisse i suoi spostamenti, è sorta spontanea l'ipotesi che si trattasse proprio di quello spazio celeste di cui il labirinto è rispecchiamento».
Un'ipotesi suggestiva. Ma come è arrivato a verificarla?
«È vera, e lo dico da filologo abituato a dubitare di tutto. La lettura dell'Odissea attraverso lo schema astrale del labirinto è l'unica a rispettare le indicazioni omeriche senza le forzature di chi cercava riferimenti geografici».
Sarà anche vero, ma cosa c'entrano gli astri con le vicende di un eroe che cerca di tornare a casa dopo la guerra di Troia?
«C'entrano su un piano simbolico, che si sovrappone a quello letterale e materiale e fa sì che in quella dell'eroe epico traspaia in realtà la vicenda della salvezza dell'anima attraverso il cammino celeste, al centro dell'antica dottrina orfico-pitagorica».
Ossia?
«Per Pitagora, come poi del resto per Platone, l'anima si incarna discendendo in terra attraverso i pianeti e, se nella permanenza terrena si purifica, ritorna ai cieli per la stessa via. È una dottrina diffusa dalla notte dei tempi eppure perdurante, grazie alla sua trasmissione esoterica, oltre l'antichità greca».
Anche nell'antica Roma, quindi?
«Certo. L’autore che, se pure per tradizione indiretta, la restituisce meglio è Numenio, non a caso capo di un circolo neopitagorico, che a sua volta influenza sia il pensiero romano (pensiamo al Sogno di Scipione di Cicerone) sia il neoplatonismo ellenistico. Sono poche le punte d'iceberg rimaste di questa lettura esoterica dell'Odissea, che sappiamo presente in tutto il mondo antico ma che, essendo appunto segreta, emerge raramente in modo esplicito, in testi come l'Antro delle Ninfe di Porfirio o in certi scoli omerici».