Canfora, il passato per fare politica
Storici, storia, ideologie: i saggi dello studioso
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L’alto compito della storiografia, diceva Napoleone Bonaparte, dovrebbe essere affidato a uomini che conoscano la politica, gli affari del mondo, la concretezza del presente. Napoleone, cui piacevano solo Voltaire e Montesquieu, non trovava giusto, che a scrivere la storia fossero per lo più sterili eruditi, affannati a compensare con l'enfasi e la retorica la loro irreparabile lontananza dalla realtà. Luciano Canfora è uno dei pochissimi storici, oggi, a rispondere ai requisiti invocati da Bonaparte. Lo dimostra il suo ultimo libro, Storici e storia, una raccolta di saggi appena uscita da Aragno. Indipendentemente dall'epoca che l'analisi ha prescelto, è la politica, invariabilmente, il suo oggetto: l'osservazione del passato è sempre anche uno sguardo sul presente, e viceversa. Lo stesso metodo critico si esercita su Caligola e Mussolini, Cicerone e Gibbon, Tacito e Luttwak. L'analisi sulla relatività e parzialità di ogni visione del presente, sui condizionamenti ideologici del giornalismo culturale ad esempio, va dall'eretico Fozio al giacobino Marat, dal disincantato Leopardi al settario Brecht, dalle «penne comprate» ai tempi del Minculpop alla lucidità realpolitica di Croce storico del socialismo. Perché, se secondo Croce ogni storia è sempre contemporanea, secondo Canfora il mestiere di storico parte dall'esperienza personale e dall'osservazione incessante della politica. «La politica è stata presente fin dall'inizio nella mia vita», spiega. «Sono convinto che sia la forma più alta di moralità e riassuma l'intera attività umana». Come Tucidide e Tocqueville. Canfora si sente uno storico privilegiato: «Ho potuto osservare il fenomeno comunista nel momento del suo massimo prestigio», racconta, «nell'immediato secondo dopoguerra, poi del suo definitivo cristallizzarsi in organismo statale autoritario e, infine, nella sua caduta». Fin da ragazzo, interrogandosi sulla rivoluzione d'ottobre, Canfora si è posto nella posizione minoritaria di chi non ignorava le scomode verità che la propaganda comunista aveva nascosto. Si è rivolto così al passato per esplorare il costante divario tra fatto e resoconto del fatto e sondare, alla fine, il mistero del progresso. Per capire gli esiti dell'esperienza sovietica Canfora ha studiato prima la rivoluzione francese, la reazione termidoriana, il terrore bianco. E' arrivato a leggere Tucidide per verificare «la salda e semplice filosofia della storia» del Manifesto di Marx ed Engels. «Il problema centrale mi sembrava allora questo», ricorda. «Perché mai doveva considerarsi un progresso il passaggio dalla polis democratica alla monarchia assoluta macedone?». Da questa radice si sono formate le riflessioni sulla «retorica democratica», sulla propaganda come forma naturale di comunicazione del divenire storico, la convinzione che lo studio della storia non può non avere al suo centro, come suggerisce il titolo stesso del libro, quello degli storici, delle loro idee e prevenzioni, informazioni e deformazioni: delle impercettibili ma inevitabili vibrazioni impresse dal moto del presente allo spettro visivo di chi guarda il passato. E' così che Luciano Canfora è diventato, oltreché uno degli storici italiani più letti e tradotti nel mondo, uno dei critici più liberi e antidogmatici della politica del nostro paese: dall'apertura al revisionismo per il caso Gentile alla polemica sulla riforma universitaria di Berlinguer, contro cui non ha esitato a schierarsi, invocando la «disobbedienza civile» dei professori ed evocando i millenari pericoli della demagogia. Del resto, come diceva Goethe, chi non tiene la sua contabilità su almeno tremila anni di storia, non ha titolo per giudicare il presente.