Aby Warburg e la metamorfosi degli antichi dei
"Aby Warburg e la metamorfosi degli antichi dei" a cura di Marco Bertozzi
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Poche brevi parole prima di andare a colazione a Frascati. Ieri pomeriggio ho parlato per tre quarti d’ora ed è stato un vero trionfo; sono riuscito persino ad attirare l'attenzione dei presenti che non parlavano tedesco. Al banchetto che si è tenuto dopo, l’atmosfera era davvero eccellente. Posso dire senza esagerazione che ho vinto su tutta la linea. E confesso che gli enormi sforzi compiuti non mi sembrano più fatiche patite inutilmente, visto che mi sono valse la sincera amicizia di Venturi, Hermann, Papini, Orbaan e molti altri". Così Aby Warburg scriveva alla moglie Mary il 20 ottobre 1912, da Roma, subito dopo avere letto al Decimo Congresso Internazionale di Storia dell'Arte la sua memorabile conferenza sul significato astrologico degli affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara. I tre quarti d’ora della “Italienische Kunst und internationale Astrologie im Palazzo Schifanoja zu Ferrara" avrebbero segnato una svolta senza ritorno nella storia della disciplina: l’atto di fondazione dell’iconologia.
Analizzando immagini, simboli, enigmi del Salone dei Mesi, Warburg aveva saputo individuare il senso della sopravvivenza del paganesimo antico e bizantino all’interno della cultura del primo Rinascimento. Le fantasmagoriche metamorfosi degli dèi pagani e le formidabili deduzioni del loro indagatore avrebbero fornito alle successive generazioni di studiosi, da Gombrich a Settis, una prospettiva interamente nuova e uno straordinario metodo di ricerca. Per analizzare l’una e l’altro nelle sue articolazioni, Marco Bertozzi, il più noto studioso italiano di quegli affreschi, riunisce in questo volume i contributi di specialisti warburghiani di ogni latitudine. Ne emerge un bel ritratto del fondatore dell'iconologia e del suo pensiero.
Warburg era anzitutto, un pensatore. In lui il Daimon si era manifestato precocemente. Forse nessuno, fra gli intellettuali del Novecento, fu così lucidamente consapevole di doverlo seguire, malgrado tutto. Warburg era nato da un'opulenta famiglia di banchieri. Avrebbe dovuto prendere le redini dell'impresa patema, ma il demone dello studio e dell’arte gli fece lasciare al fratello minore Maximilian, contro la volontà dei genitori, la guida dei capitali. A Maximilian chiese solo, in cambio, di essere rifornito di tutti i libri di cui avrebbe avuto bisogno. Con Proust, di pochi anni più giovane, Warburg condivideva l’intuizione che, come scrisse in seguito, il buon Dio si potesse nascondere nei particolari, nelle minuzie apparentemente insignificanti. Per decodificarle, per farle parlare, era indispensabile una profonda sapienza filologica, storica, filosofica, mitologica, storico-religiosa. Ed era decisiva la certezza, che Warburg derivava dal pensiero del suo tempo, che solo travalicando i margini delle discipline si potesse approdare a una ricerca degna di tale nome. “Gli studi sulle religioni dell’antichità greco-romana ci insegnano sempre più a guardare l’antichità quasi simboleggiata in un’erma bifronte di Apollo e Dioniso. L’ethos apollineo germoglia insieme con il pathos dionisiaco quasi come un duplice ramo di un medesimo tronco radicato nelle misteriose profondità della terra madre greca". Come non riconoscere l’immediato antesignano della colta, eversiva interdisciplinarietà di Warburg nel grande Nietzsche, non a caso perseguitato da Wilamovvitz?
Il piatto di lenticchie per il quale Warburg cedette la sua primogenitura è oggi la più straordinaria e appetibile biblioteca del mondo: la Library del Warburg Institute di Londra, in cui tutte le discipline che gli antichi praticavano nella paideia del Trivio e del Quadrivio si fondono con la storia dell’arte e svelano i suoi infiniti, iniziatici misteri.