Elena di Troia: una, nessuna, centomila
L'archetipo della «Femme Fatale»: in un saggio di Bettini e Brillante il mito della bellissima che non smette di affascinarci
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Chi è Elena? Che cosa rappresenta per noi oggi? Una seduttrice sfacciata, una moglie infedele, un'amante senza cuore, una bugiarda patologica, una bellezza senz'anima? Se è così, perché tutti la amano, perché nessuno si vendica mai dei suoi continui tradimenti? Perché non c'è uomo, vecchio o bambino, guerriero o poeta, che riesca a odiarla? Perché, soprattutto, non muore mai? Elena di Sparta, la figlia di Leda e del cigno, la sposa di Menelao, l'amante di Paride, la distruttrice di Troia, colei che con la droga «contraria al pianto e all'ira» addormenta il cuore degli uomini, è indistruttibile proprio perché è un mistero, un mito antico quanto la letteratura. E' l'archetipo occidentale della femme fatale: come tale, la bellissima è molte donne insieme, fisicamente sulla terra e nella psiche degli uomini. Celebri Elene compaiono nelle pagine e nell'iconografia del saggio II mito di Mena di Maurizio Bettini e Carlo Brillante (Einaudi, 240 pp., 15 euro), primo nato della collana «Mythologica» dello stesso Bettini.
Helene: il nome suona come un incantamento e una maledizione. Evoca radicale distruzione, se la radice hel di helein e haireo indica in greco espugnazione, soggiogamento, cattura, seduzione. Ma anche assoluta, incomparabile bellezza, se perfino Priamo, il vecchio e saggio re di Troia, comprende la fatalità del suo fascino, si inchina alla sua non umana perfezione, la chiama «cara figlia», la protegge sino alla fine. Priamo sa, come Goethe alla fine del Faust, che Elena incarna l'eterno Elemento femminile, al quale non si può né si deve resistere, perché l'inattingibile che ci annienta ci strappa alla storia e ci restituisce al fato. Non a caso, nelle intricate genealogie che ci tramandano i mitografi, Elena è sorella di Castore e Polluce, i gemelli che a giorni alterni presidiano l'Olimpo e gli Inferi. Non a caso l'uovo avvolto in un giacinto dal quale Elena nasce non è forse partorito da Leda, come l'uovo d'argento dei Dioscuri, ma da Nemesi. Elena dalle bianche braccia, dal collo di cigno, è insieme candida e duplice, premio e punizione per ognuno dei suoi uomini, per Teseo come per Achille, per Menelao come per Paride e Deifobo. Così doppia era Elena che secondo un'autorevole opinione avallata dai sacerdoti egiziani di Memfi non lei, ma il suo doppio, fu a Troia. Non lei, ma un eidolon, un automa, un replicante fatto a sua immagine, emozionò gli anziani al punto da far bisbigliare loro al suo passare, in piena guerra, il celebre: «Ou nemesis...» del terzo canto dell'Iliade. «Notre mal ne vaut pas un seul de ses regards» (il nostro male non vale uno solo dei suoi sguardi), parafrasò Ronsard nei Sonnets pour Hélène e citò Proust nel sesto libro della Recherche davanti alla foto di Albertine. «Il mito è uno strano animale, si nutre di sé stesso - scriveva lo storico Arnold Toynbee - e più si divora più si ingigantisce». La vicenda di Elena si accresce, nella storia, di infinite incarnazioni e mutamenti. Carlo Brillante sviscera, investiga, insegue, da Omero ai tragici, da Luciano agli gnostici, molte, diverse e inverse figure di Elena. Ritroveremo miriadi di Elene nei poemi ellenistici, nei romances turingi, nelle fantasmagorie bizantine, in Chaucer, Marlowe, Goethe, Pascoli, Leconte de Lisle, Huysmans, Hofmannsthal. Elena rivivrà a teatro nelle opere di Gluck, Berlioz, Saint-Saèns, Strauss, un'altra Elena nelle affollate repliche della Belle Hélène di Offenbach, altre Elene ancora nelle rivisitazioni moderne, ironiche e tragiche, di Erskine, Giraudoux, Ritsos. Ma l'ultima sorpresa, in ordine di tempo, la riserva il coautore Bettini. Il suo contributo al libro - dimostrazione pratica dell'inestinguibilità del mito, omaggio alla sua natura letteralmente proteiforme - è una novella, per la precisione una ghost-story. «Achille, Ettore, Patroclo sono tutti morti per un'illusione. La più bella fra le donne era solo un fantasma». E' ciò che già narravano Stesicoro ed Euripide. E' ciò che probabilmente pensava anche Moreau quando, nel più celebre dei suoi ritratti, raffigurò Elena davanti alla porta Scea, immobile, bianca, senza volto, simile ai fili di fumo sospesi sulle rovine di Ilio.