Massime e minime secondo Erasmo
"Adagia", Erasmo da Rotterdam
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Il passato, ha scritto Walter Benjamin, è come un grande scheletro che giace in fondo al mare, di cui non riusciremo mai a ricostituire il tessuto vivente, ma nei cui interstizi possiamo ancora trovare concrezioni e barbagli di antica vita, perle e coralli da raccogliere nell'abisso dei secoli per abbellire il nostro. In altre parole, il moderno non può, dell'antico, che raccogliere frammenti, detti sparsi. È lo spirito della collezione e della citazione, suggeriva Benjamin, l'unico che può avvicinare realmente la scrittura moderna alla classicità. Che il pessimismo di Benjamin vada o no condiviso, è indubbio che a questo spirito si attenne, ai suoi primordi, l'umanesimo europeo. Parafrasando Jean Moréas, come il sapore del riccio evoca alla perfezione il mare in cui si è sviluppato, così il Rinascimento sa del greco di cui si è nutrito. Gli Adagia di Erasmo da Rotterdam, ora apparsi nella nuova, limpida traduzione di Davide Canfora, ne sono la prova più grandiosa: un'immensa collezione delle perle e dei coralli che l'autore dell’Elogio della follia e i suoi amici andavano recuperando all'occidente dal naufragio del mondo bizantino, immergendosi nell'intera tradizione classica come pescatori di spugne dall'occhio limpido, secondo il verso di Eschilo. L'uomo è un lupo per l'uomo. Tutte le azioni umane obbediscono al denaro. Quando l'oro parla, l'eloquenza è senza forza. Non si possono far camminare i granchi in linea retta. Il servilismo genera amici, la verità odio. Il ricco è un ingiusto o è l'erede di un ingiusto. La guerra piace a chi non la conosce. Il supremo diritto è una suprema ingiustizia. Un uomo solo è nessun uomo. Conosci te stesso. Vivi nascosto. Comportati come il polipo, che assume il colore degli scogli. E infine: se non sei già morto, insegna lettere. «Gli Adagia sono il punto culminante della disordinata etica e della meticolosa erudizione dell'umanesimo europeo», scrive Davide Canfora nel denso saggio introduttivo al volume in cui ha trascelto, emulando a sua volta lo spirito erasmiano, centocinquantatré delle oltre quattromila voci di questo archivio etico-filosofico della sapienza degli antichi: un'opera alla quale il grande censore della demenza della società e dei governanti dedicò quasi tutta la sua vita e che lasciò aperta più che incompiuta, passibile di ulteriori, infiniti aggiornamenti. Infatti, ciascuno dei detti reperiti e classificati sotto il nome di Adagia non è che il punto di partenza di una schedatura a sé stante, in cui sono elencati, incrociati, intrecciati fra loro in un fitto florilegio altri reperti: frammenti, scoli, trascrizioni di notabilia e marginalia di quello che Erasmo stesso chiamava l'oceano del sapere antico. La riflessione sull'incoerenza, sull'irrazionalità, sull'ipocrisia del mondo, sulle maschere che nascondono il vero volto degli uomini, la polemica contro la guerra e contro le ideologie estreme, politiche come religiose, in una parola i grandi temi del pensiero di Erasmo sono già tutti presenti negli Adagia come in testa al telaio i fili dei tappeto. Tra i più benefici della cultura occidentale, ricorda Davide Canfora, i libri di Erasmo furono perseguitati per secoli, ma continuarono a venire diffusi e letti ovunque, anche nel pieno della Controriforma. La pessimistica, malinconica, colta tolleranza, maltollerata dal settarismo, sarebbe stata e rimane il caposaldo del moderno laicismo.