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La rinata Biblioteca di Alessandria sarà inaugurata dopodomani in Egitto: una difficile scommessa per la convivenza umana.
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Si inaugurerà dunque finalmente tra due giorni la rinata Biblioteca di Alessandria, capace di ospitare 8 milioni di volumi di tutte le lingue e culture, orientale e occidentale? «Sono pronto a scommettere di no»: così Luciano Canfora, massimo esperto della leggendaria istituzione culturale ellenistica, commenta l'annuncio del governo egiziano e dell'Unesco. In realtà il pessimismo dello storico non trova conforto nei programmi ufficiali. La struttura destinata a rinnovare il mito millenario e surreale di un luogo di raccolta di tutto lo scibile umano è un gigantesco cilindro, quasi un enorme faro sulla costa della moderna Alessandria, progettato dall'architetto norvegese Christoph Kapellar a simboleggiare la globalità della conoscenza. Se è stato decisivo il contributo dell'Unesco, singole donazioni sono arrivati da ogni parte del mondo e le università arabe hanno fatto affluire ben 65 milioni di dollari. «Il presidente Mubarak», spiega Canfora, «impegna in questa partita il ruolo stesso dell'Egitto in politica. Il progetto ha il valore di una scelta di campo filoccidentale che in questo momento nessuno Stato arabo, per quanto moderato, può permettersi, con la situazione militare in Medio Oriente e alla vigilia di una possibile guerra. L'inaugurazione della nuova Biblioteca di Alessandria la aspettiamo da anni, e a ogni data annunciata è sempre seguito un rinvio. Anche se ci sarà, sarà un atto provvisorio, virtuale». In effetti Mubarak ha già dovuto concedere che una commissione egiziana mista, composta di laici ma anche di esponenti dell'osservanza islamica, controlli le accessioni librarie. Il che di per sé contrasta sia con l'idea della biblioteca, sia con l'antica storia alla quale si ispira. «Fu Aristotele a insegnare ai re ellenistici d'Egitto come si organizza una biblioteca», tramandano gli storici antichi. Non è esatto; ma in effetti l'idea di raccogliere il sapere in un repertorio sistematico di testi scritti, consultabili e riproducibili, è un'idea aristotelica (non certo platonica: Platone condannava non solo il teatro, ma la letteratura di qualunque tipo, ritenendo il sapere non trasmissibile per iscritto). Fu un allievo ateniese di Aristotele, un intellettuale prestato alla politica e poi costretto all'esilio, Demetrio Falereo, a progettare alla fine del III secolo avanti Cristo la grande biblioteca di Tolomeo Soter.
Tolomeo e Demetrio, il re e il bibliotecario, avevano stabilito che per raccogliere ad Alessandria i libri di tutti i popoli della terra sarebbero stati necessari almeno 500 mila rotoli. Una lettera circolare fu inviata «a tutti i sovrani e governanti del mondo», perché fornissero senza esitazione le opere che possedevano: «di poeti e prosatori, retori e sofisti, medici e indovini, storici e altri ancora». In ogni paese furono reclutati dotti che oltre a padroneggiare la propria lingua conoscessero alla perfezione il greco, e a ciascun gruppo furono affidati i relativi testi da tradurre nella lingua comune dell'epoca. Accanto ai poemi omerici e ai loro commenti entrarono a far parte del patrimonio ellenistico opere gigantesche di altre culture, come le sacre scritture del giudaismo o i testi iranici attribuiti a Zoroastro, oltre due milioni di versi. Copisti e scribi lavoravano giorno e notte nelle sale del Museo o Casa delle Muse, all'interno dello sterminato palazzo reale a strapiombo sul mare. Dentro il Museo si viveva reclusi come in una gabbia d'oro: la gabbia delle Muse, la chiamavano sorridendo gli scettici. I dotti del Museo erano una casta privilegiata, avevano diritto ai pasti gratuiti, a uno stipendio e all'esenzione fiscale. Classificavano, commentavano, scrivevano cataloghi immensi, come quello redatto da Callimaco, che occupava da solo 120 rotoli. Nel giro di due secoli, i volumi raccolti arrivarono a 700 mila. Poi, con la conquista romana, si disse che la biblioteca era andata a fuoco. Gli storici antichi e moderni hanno discusso sul come e sul quando. Secondo molti, fu colpa di Cesare: assediato nella reggia tolemaica, durante la guerra alessandrina, per difendersi avrebbe involontariamente causato il grande incendio e la distruzione dei rotoli. Secondo l'opinione fatta propria da un illuminista come Gibbon, fu invece il fanatismo cristiano a bruciarla, quando il vescovo Cirillo distrusse i simboli del potere culturale pagano. In realtà, né alla prima né alla seconda ipotesi si deve dare credito, come ha dimostrato Canfora nel suo bestseller La biblioteca, scomparsa (ed. Sellerio), indicando il vero colpevole della distruzione: l'imperatore Aureliano, che nella guerra contro Zenobia rase al suolo il quartiere del Museo, come attesta Ammiano Marcellino. C'è dell'altro. Secondo una tradizione del XII secolo, a bruciare quei libri fu l'Islam. Narra il greco Eutichio che quando gli arabi invasero i domini di Bisanzio l'emiro Amr ibn al-As, accingendosi a saccheggiare Alessandria, ebbe un'esitazione e scrisse al califfo Omar, chiedendogli il permesso di salvarne il patrimonio bibliografico. Il califfo, riferisce lo storico Ibn al-Oifti, rispose: «Se il contenuto dei libri si accorda con il libro di Allah, possiamo farne a meno, perché il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di difforme dal libro di Allah, non c'è alcun bisogno di conservarli». I libri sarebbero stati usati come combustibile per le stufe dei quattromila bagni pubblici di Alessandria. Ci sarebbero voluti ben sei mesi per esaurirli. Nessuna narrazione, per quanto leggendaria o apocrifa, nasce senza motivo. Evidentemente nell'età delle crociate il problema della tolleranza fra culture era scottante non solo per i bizantini, ma anche per gli islamici. Oggi che l'intolleranza nel nome di Allah è posta sotto accusa dall'Occidente, l'evento del 16 ottobre, se avrà luogo nei fatti e non solo pro forma, assumerà un enorme significato. In gioco non sarà tanto il sogno di una biblioteca di Babele quanto l'idea che la pluralità ideologica debba essere riconosciuta all'Islam e nell'Islam. La scommessa non riguarderà la conservazione dei libri di tutto il mondo, ma la convivenza, in tutto il mondo, tra gli esseri umani.