Chi ha la mente bizzarra scherza facendo sul serio
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Il fatto che Gabriele D'Annunzio vestisse e ingioiellasse le statue del Vittoriale potrebbe sembrare un'eccentricità. In realtà era soltanto un'affettazione colta che gli veniva dalla frequentazione dei testi antichi. Di Svetonio, che narra come l'imperatore Caligola vestisse ogni giorno la propria statua d'oro. Di Eliano, che tramanda come il gran re dei Persiani, Serse, si innamorasse di un platano e ne adornasse i rami con collane e bracciali. Geloso, faceva poi sorvegliare giorno e notte che l'innamorata non lo tradisse. Queste storie, insieme a infinite altre, si leggono in BizzarraMente. Eccentrici e stravaganti dal mondo antico alla modernità, libro scritto a quattro mani da un antropologo e un semiologo, entrambi severi accademici, entrambi bizzarramente dediti alla letteratura. Maurizio Bettini e Omar Calabrese raccontano, in queste pagine, cose così strane da far pensare che siano stati contagiati dal morbo della bizzarria. La parola, d'altronde, che esiste in tutte le lingue a noi vicine (spagnolo bizarro, francese e inglese bizarre, tedesco bizarr), è misteriosa. Non si sa da dove venga (da "bizza", potremmo dire, ma l'etimologia di "bizza", appunto, è sconosciuta). Si applica principalmente ai cavalli, che tirano calci senza preavviso (si "imbizzarriscono"). Qualcuno la fa derivare, bizzarramente, da una lingua antichissima e di origine, a sua volta, ignota, il basco, dove il termine viqarra significa "hombre de barba o pelo en pecho". Più chiaro il significato che comunemente si dà alla "bizzarria". La parola indica un comportamento anomalo, scrivono i due autori, che non solo rifugge dalle regole solitamente condivise, ma lo fa addirittura sovvertendone il significato, mettendone in dubbio la tenuta, saggiando i loro limiti. Non a caso, il più grande dei bizzarri è Socrate, l'uomo che portava lo stesso mantello in ogni stagione e camminava a piedi scalzi sulla sabbia ardente, il martire che morì raccontando un'eccentrica fiaba sull'immortalità dell'anima destinata a essere presa troppo sul serio da chi non ne capì la natura scherzosa ed eminentemente bizzarra. Socrate invitava i discepoli a fare anche l'inverso: a dire cose serie scherzando. L'idea fu ripresa nel Rinascimento dai dotti ed eccentrici filosofi neoplatonici che teorizzarono il cosiddetto serio ludere, "scherzare facendo sul serio". Per giustificare la verità del sapere pagano, sostenevano che gli antichi parlassero sempre e soltanto in forma scherzosa. Scrive Marsilio Ficino nel proemio del suo commento al Parmenide di Platone; "Era costume di Pitagora, Socrate e Platone scherzare facendo sul serio e giocare con grande applicazione ogni volta che toccavano con figure e sentenze i misteri divini". Nicola Cusano non fu da meno, e fra l'altro fu un vero eccentrico. Scrisse un libro di filosofia, il De ludo globi, ispirandosi al gioco della palla: "Che si giochi questo gioco; ma non in modo puerile, bensì alla maniera della santa saggezza divina nel creare il mondo". La tecnica del serio ludere, dello "scherzare facendo sul serio", fu ripresa nel Seicento dal catalano Baltasar Graciàn, che predicava la agudéza o “arte del ingenio" come modo per sopravvivere a corte e anzi fare carriera. Potrebbe applicarsi a tanti intellettuali che in seguito ebbero a che fare con la politica: dagli illuministi alle prese con la rivoluzione giacobina ai moderni sessantottini che scherzarono, è il caso di dirlo, con il fuoco dell'ideologia.