Europa. Chi la troverà?
La donna rapita da Zeus, trasformatosi in toro: un mito che segna il distacco della civiltà greca d'Oriente, un simbolo dell'eredità culturale comune ai popoli che vogliono costruire una unione fondata non solo sull'economia e sulla politica
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La giovane donna è allungata sul toro bianco. Il languore del suo corpo semi nudo, lambito dalla risacca in riva al mare, si riflette nello sguardo affascinato e ieratico dell'animale. Il mito è già cominciato. Il toro è giunto poco prima, mentre l'adolescente gioca con le amiche sulla spiaggia di Tiro. Dapprima le ha spaventate con la sua mole potente. Poi le ha rassicurate sdraiandosi ai piedi di lei, la figlia del re fenicio Agenore, Europa. Attratta dal suo splendore, la principessa ha preso ad accarezzarlo, gli ha cinto il capo di una corona di fiori, gli è montata per gioco sul dorso. Ma ecco, il toro si alza, scalpita, si slancia con la sua preda nella schiuma del mare. Galoppando attraverso le acque arriva fino all'isola di Creta. E lì riprende le sue vere sembianze. Non è, il toro, che una metamorfosi di Zeus. Il re degli dei e l'aristocratica fenicia si congiungono in un boschetto di platani, che in loro ricordo conserveranno il privilegio di non perdere mai le foglie. Nasceranno tre figli, il primo dei quali, Minosse, sarà predestinato, nel labirinto del mito, a misurarsi di nuovo con la seduzione che il mondo animale esercita sulla natura femminile: come sua madre anche sua moglie, Pasifae, amerà un toro. Il ratto di Europa, tramandato dal VI secolo avanti Cristo ad oggi in una miriade di interpretazioni pittoriche e scultoree oltreché letterarie e erudite, ha in sé una potenza simbolica dirompente quanto misteriosa. Nessun mitografo, psicologo, iconologo ha saputo mai realmente decifrarlo, così come il fratello di Europa, Cadmo, non hai mai più saputo ritrovare la sorella rapita. Ugualmente oscuro è il rapporto tra la principessa e il nuovo continente che da lei, sottratta alla più antica culla della civiltà, prenderà il nome. La sua etimologia proposta dagli indoeuropeisti - "dai larghi occhi", "dalla larga faccia" - non si discosta infatti dall'ambito sacrale dei culti bovini o lunari, spesso congiunti. Però, altri studiosi ne hanno proposto la derivazione dalla radice semitica rb, da cui ereb, tramonto e dunque occidente, forme connesse in accadico, assiro e arabico. Pur sussistendo, in questa seconda ipotesi, irrisolte difficoltà, il nome di Europa alluderebbe allora a un destino "occidentale", in contrapposizione al nome di Cadmo, che potrebbe significare "orientale". Il mito di Europa, di Cadmo e del toro sarebbe allegoria dell'originario distacco della civiltà greca dai suoi esordi nordafricani - egizi, fenici - e in generale dall'Oriente. Cadmo peraltro, guidato dall'oracolo di Delfi, troverà in luogo della sorella un suo feticcio, insieme femmina e bovino. Seguendo una vacca col segno bianco della luna piena sui fianchi giungerà in Beozia e fonderà Tebe, dando inizio a un'altra sequenza mitica inseparabile dall'identità occidentale. Dall'innesto nell'Eliade dell'Oriente proverrà la trasmissione alla Grecia dell'alfabeto fenicio. Dalle nozze di Cadmo con Armonia, e cioè dal mito di fondazione stesso della teologia pagana, nascerà la dinastia di Laio e di Edipo, il primo uomo occidentale, segnato come Cadmo dalla maledizione di una ricerca sempre vana, o meglio di una ricerca condannata a trovare sempre altro da ciò cui mira. “Troveremo l'Europa solo facendola", ha scritto Denis de Rougemont, nell'assumere l'antica leggenda greca di Cadmo a simbolo di una moderna attività, insieme alacre e scettica, di "cercatore dell'Europa". Rougemont, uno dei primi europeisti, mirava coi sui scritti a promuovere "una federazione di stati europei" e a ribadire, richiamandosi alle origini ancestrali, la loro comune eredità. Come ricorda ora Luisa Passerini nel suo II mito d'Europa. Radici antiche per nuovi simboli (Giunti, pp. 192, € 15), l'autore dell'Amore e l'Occidente scorgeva allora il rischio che l'Europa, sebbene assai più antica delle sue nazioni, perisse per i conflitti fra queste. Rivisitare il mito di Europa, ri-mitologizzarla, secondo l'espressione di George Steiner, significa sanare il "deficit simbolico" che caratterizza, scrive l'autrice, l'attuale costruzione europea. E' ciò che tenta di fare il saggio di Luisa Passerini, esaminando e sviscerando il mito della giovane donna rapita dal toro, sempre cercata e mai trovata, in tutte le sue ipòstasi, implicazioni, reinterpretazioni antiche e moderne, nella letteratura e nell'arte, nella politica e nella storia dell'emancipazione femminile. Caratteristica del mito è che, per quanto inviolato, intatto, chiuso, trasmette tutta la sua forza a chiunque entri nel suo solco, di era in era, di cultura in cultura. Dall'antichità a oggi, il ratto di Europa rivive in tutte le esegesi dei mitografi, da Apollodoro a Jung e Kerényi. E' celebrato nei distici di Ovidio e nei racconti di Graves, negli idilli di Mosco e nelle ballate di Yeats, nei dialoghi di Luciano e nella prosa di Bontempelli, negli epigrammi dell’Antologia Palatina e nei memorabili versi di Sole e carne di Rimbaud. Soprattutto, il mito pulsa nelle figure dell'arte. Dalla trasognata pittura vascolare e dagli enigmatici bassorilievi dei templi greci migra ai mosaici romani, alle miniature dei codici medievali, alla grazia dei cammei seicenteschi. Dalle folli carte somatopiche degli incisori tedeschi Europa approda alla sensualità di Tiziano e di Rubens, alla sontuosità di Tiepolo. La fine dell'Ottocento e il principio del Novecento si appropriano del mito e del suo simbolismo, da Pierre Bonnard a Gustave Moreau, da Felix Vallotton ad Arturo Martini a André Masson. La corsa della ragazza e del toro rivive in Beckmann e Klee, nella violenza di Picasso, nel dinamismo di Severini, nella visionaria desolazione di Max Ernst, nella celeste inquietudine di Dalì, fino all'ironia di Topor, di Pollock, di Botero. La propaganda fascista se ne appropria, così come quella nazista: nelle opere di regime Europa, bionda e ariana, si fa baluardo contro il blocco "asiatico-ebraico-bolscevico". La principessa fenicia rivive nella grafica delle campagne pubblicitarie della Comunità Europea e, infine, nella neo-metamorfosi effigiata sulla versione greca della moneta da due euro. Nella cultura e lungo la storia dell'Occidente l'immagine della ragazza e del toro ha così assunto via via nuovi significati. Ma quel che conta, e che la documentazione offerta da Luisa Passerini evidenzia indubitabilmente, è il permanere come paesaggio interiore dell'antica Grecia: quella che James Hillman ha chiamato "la Grecia psichica", senza i cui miti, simboli, enigmi l'uomo occidentale moderno non può aspirare a chiarire la sua identità individuale, né tantomeno cercare di ricomporre un'identità collettiva.