Romolo Augustolo e Odoacre incontrano Re Artù
"L'ultima legione" di Valerio M. Manfredi. Un mix tra «il Gladiatore» e «il Signore degli Anelli»: la fantasia del fumetto non nuoce alla Storia
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Sulla caduta dell'impero romano si possono leggere capolavori, dal Decline and Fall di Gibbon a Je vous écris d'un pays lointain di Anna Banti. Eppure, da un pezzo, pochi lo fanno. Strano, perché la civiltà contemporanea - non solo la vecchia Europa, anzi soprattutto l'America - è ossessionata dal fantasma della decadenza e della caduta. Film di culto come Blade Runner ci hanno abituato a paesaggi di rovine, tragicamente sbalzati dalla fantasia collettiva alla realtà degli schermi televisivi con l’11 settembre. Non bisogna meravigliarsi allora se L'ultima legione, il nuovo romanzo di Valerio Massimo Manfredi, pur non essendo un capolavoro è salito in un mese al vertice delle classifiche dei best seller italiani, con quattro tirature consecutive e centomila copie già vendute; se in tutto il mondo, dal Portogallo alla Germania, dall'America all’Australia al Giappone, gli editori lo stanno traducendo; se si sta già trattando per ricavarne un film di cassetta. Perché il libro dell'antichista bestsellerista Manfredi, romanzando la conquista di Odoacre e le disavventure dell'ultimo giovanissimo imperatore Romolo Augustolo, fa anzitutto leva sull'ansia inconscia che il mondo dell'Occidente stia per soccombere alla minaccia di nuovi barbari. Una rovinografia fantasy ma non fantastica - Manfredi insegna all'università ed è topografo del mondo antico - fa da cifra visiva a questo "peplum" che ricorda il Gladiatore cinematografico, ma anche il film sul Signore degli Anelli, giacché da Roma e Capri approda alla Britannia e, nel colpo di scena finale, alla leggenda di re Artù. E' questo, probabilmente, un secondo fattore essenziale di successo. L'ultima legione salda la vicenda dei cesari al ciclo bretone, l'uno all'altro mito. E il mito, come scrisse Arnold Toynbee, ha una vitalità infinita, si nutre di se stesso e continua a crescere. Inutile quindi fermarsi a giudicare le qualità letterarie di Manfredi, la sua scrittura che sembra ora un fumetto ora una versione dal latino, la sua inventiva fanciullesca dove i buoni (i romani) sono buonissimi e i cattivi (i barbari) bestialmente cattivi. Utile invece interrogarsi sull'apparente antinomia fra tutto questo e l'identità dell'autore, per mestiere erudito e necessariamente avveduto esegeta di classici. Non è la prima volta che un riservato professore di antichistica sposta come Superman le classifiche librarie: basta ricordare Erich Segai, il latinista americano che trent'anni fa le squassò col suo Love story. E siamo certi che né Segai né tanto meno Manfredi, nella loro veste accademica, sono inclini a esercitare la fantasia in luogo della cautela critica che caratterizza la ricerca e l'insegnamento universitario. Ecco, è proprio questo il punto: la fantasia. Tutti ne abbiamo, ma uno studioso, se vuole definirsi tale, deve continuamente reprimerla. Le sue congetture devono limitarsi a quanto rigorosamente comprovabile; e specie chi si occupa di antichità difficilmente può provare una qualsiasi ipotesi con il necessario rigore. La naturale, umana fantasia di un antichista è continuamente frustrata, per cui ne accumula una scorta enorme, intatta e inaccessibile. Il che in genere produce melanconia, malumore, nei casi estremi sterilità e antipatia per ogni forma di creatività. Questo non fa bene né allo studioso né ai suoi allievi. Sosteneva perciò un celebre archeologo che un buon antichista dovrebbe, al termine di ogni ricerca, scrivere due libri: un rigoroso studio universitario e un romanzo giallo o d'avventura. Tutta la fantasia repressa, tutte le congetture rimosse dalla necessaria autocritica dell'accademico troveranno sfogo nel romanziere, per dilettante e impacciato che sia, con prorompente forza comunicativa. Il dato storico e l'invenzione più sfacciata finalmente si intrecceranno, senza danno per il sapere. Ecco, dell'Ultima legione di Manfredi una cosa sicura può dirsi: non nuoce al sapere.