Nella Roma bizantina gli intellettuali mangiano domande
Ateneo "I Deipnosofisti. I dotti a banchetto" su progetto di Luciano Canfora
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I greci avevano un rapporto particolare con la conversazione a tavola, ossia con ciò che chiamavano simposio. E' in un simposio che Aristofane, Alcibiade gli altri invitati a casa di Agatone pronunciano dinanzi a Socrate i più filosofici discorsi sull'amore. E' in un infinito, surreale simposio ambientato a Roma in casa di Publio Livio Larense che si riuniscono e con incomparabile leggerezza discettano di tutto lo scibile i Deipnosofisti, ossia, letteralmente, gli "intellettuali a tavola" che danno il titolo all'opera di Ateneo, alessandrino di lingua greca emigré a Roma sul cadere dell'età argentea.
Il ritorno dei Deipnosofisti di Ateneo, il massimo best seller del mondo tardoantico e bizantino, è un evento editoriale straordinario. Questa labirintica, dottissima e ironica enciclopedia della conversazione era stata tradotta in latino nel Cinquecento, ma mai in italiano. Attesa da tempo, frutto di dodici anni di lavoro, la monumentale edizione ora uscita da Salerno nasce da un progetto di Luciano Canfora. Nelle oltre 150 tavola fuori testo, annotate da Margherita Losacco, offre al lettore un prodigioso apparato iconografico. Il corpus di note, realizzato da una formidabile équipe di grecisti, chiarisce ogni elemento di un'opera in cui la cultura riflette su se stessa identificando gli enigmi celati nei testi di una biblioteca virtuale che è epitome del mondo. Una vorticosa architettura che potrebbe visualizzarsi (suggerisce nel saggio introduttivo Christian Jacob) come una galleria elicoidale, simile a quella creata da Lloyd Wright per il Guggenheim Museum di New York. Se la parola circola come le coppe di vino, se il vino "rende philologoi tutti coloro che lo bevono in quantità", i Deipnosofisti non riusciranno mai a mangiare. "Noi ci nutriamo di domande", ricorda il padrone di casa. I piatti del convito sono serviti solo per essere citati, e i vassoi delle portate sono tavole bibliografiche e lessicali. Le migliaia di citazioni da opere letterarie, per molte delle quali Ateneo è fonte unica, compongono una rete in cui si impigliano dissertazioni sulla zuppa di lenticchie e sui motti di spirito delle cortigiane, sul polpo in Teognide e sull'arte di cucinare la spigola, sull'epicureismo di Odisseo e sulle pelli delle Gorgoni riportate a Roma dal generale Mario. L'ininterrotta conversazione degli invitati, che arrivano con i loro libri e rotoli racchiusi in sacchi grandi come quello in cui Cleopatra si nascose per entrare nel palazzo di Cesare, è occasione e pretesto per dissertazioni paradossali e divagazioni impensabili su una cultura letteraria declinante e ormai completamente indicizzata.
Christan Jacob offre più di una via d'accesso alla follia erudita di Ateneo, alla sofisticazione di questo precursore di Bouvard e Pécuchet smarrito nei labirinti della lingua e della memoria, alle peregrinazioni di questo viaggiatore immobile che si lascia trasportare dai fogli di una biblioteca decostruita, ritagliata in frammenti, all'opera di questo cabalista della parola impegnato a plasmare il suo Golem di carta coi testi altrui, incorporati in un dialogo enigmatico, con figure enigmatiche, per un progetto enigmatico. Forse, congettura Jacob, i Deipnosofisti più che il resoconto di un banchetto sono il racconto di una partita, di un affascinante gioco di società in cui la memoria è performance e le citazioni sono come pedine con le quali il giocatore segnala i punti del suo itinerario progressivo all'interno della Biblioteca. Se i giocatori principianti si vedono chiedere cose semplici, come citare i nomi dei capi achei o troiani, i giocatori esperti, come i protagonisti di Ateneo, si lanciano soggetti complicati, vietandosi il ricorso alle fonti più ovvie. L'argomento vincente è quello che consente il percorso trasversale più lungo. Ma qual è la fine del gioco? Se il punto di partenza è imposto, dove fermarsi? In realtà, è impossibile. Come la Biblioteca di Babele di Borges, l'archivio testuale e sapienziale dell'ellenismo, età in cui la carne è triste e si sono letti tutti i libri, è un oceano infinito, dove non si può, come l'Odisseo dantesco, non perdersi e non fare naufragio.