Canfora, Sherlock Holmes nella Compagnia di Gesù
Un giallo dell'antichista tra Cinque e Seicento, mentre divampa la polemica per il pamphlet sulla retorica democratica
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«Agli antichisti è sempre andato stretto il mondo antico. Amano occuparsi del mondo attuale anche se restano impermeabili ai meccanismi della democrazia moderna». Dalle colonne del Foglio di mercoledì scorso il contemporaneista Ernesto Galli Della Loggia ha attaccato così l'appena uscita Critica della retorica democratica di Luciano Canfora (Laterza, 120 pp., £ 9,50). In verità il pensiero di Canfora - «la democrazia come governo effettivo della maggioranza è qualcosa di illogico e irrealizzabile» perché «dietro ogni forma democratica s'annida un regime oligarchico» - si appoggia a teorici moderni come Mosca e Michels, e non solo alle parole di Platone. Ma, soprattutto, l'attualizzazione, o meglio la consapevolezza già crociana che si fa storia sempre del presente, è alla base di ognuno dei suoi scritti, si tratti di Marx o di Tucidide, della rivoluzione romana o di quella russa. Oppure delle segrete vicende del cinquantennio che va dal concilio di Trento al prologo della guerra dei Trent'anni, di cui parla l'altro suo libro appena pubblicato, Convertire Casaubon (Adelphi, 214 pp., e 11,50). Tre parole — «compagni», «libertà», «censura» —vi ricorrono, e questo nonostante fin dal titolo, e in tutta l'incalzante narrazione il lettore sia proiettato non nella Russia bolscevica o nell'Italia di Togliatti, ma tra l'intelligencija della Controriforma; malgrado la lotta politica dei «compagni» coinvolga non un'ideologia laica, il comunismo, ma un credo oltremondano, il cristianesimo, lacerato al suo interno dalla grande rivoluzione della Riforma. L'illusione ottica non può stupire chi conosce quel ferreo storico e sempre più divertito narratore che è Canfora. Se tra scienza storica e dottrina politica non c'è mai confine, ovviamente non può fare storia chi non conosce la politica, né può fare politica chi non sa la storia. Nel suo Casaubon Canfora insegna la politica raccontando la storia dei primi «compagni» dell'età moderna, militanti di una Compagnia tanto disciplinata ed elitaria quanto imprevedibilmente eversiva e libertaria: la Compagnia di Gesù. Dopo La biblioteca del patriarca e II Fozio ritrovato, Convertire Casaubon è compimento e sintesi della trilogia «bizantina» di Canfora. Le sotterranee vicende della Biblioteca di Fozio, il patriarca di Costantinopoli che fu «il primo Lutero», si dipanano su una tela che le scoperte del Canfora filologo ci consentono ormai di misurare in tutta la sua complessità e ampiezza. Una tela tessuta con precisione estrema dall'uno all'altro degli occulti presìdi dell'antica Internazionale dei Dotti - da Toledo a Anversa, da Roma a Augusta - e di biblioteca in biblioteca - la Marciana, la Vaticana, l'Escorialense, la Palatina - ad opera di «una compagine di uomini votati a una causa» e legati per sempre, nella storia, da un segreto progetto. Quale? Qui a entrare in gioco è l'induzione, che fa di ogni vero scholar un investigatore e dell'autore uno Sherlock Holmes. Non a caso Canfora cita in exergo Poe e Conan Doyle. Nel suo giallo i testimoni sono codici, le carceri racchiudono prelati eretici, al posto di Scotland Yard c'è l'Inquisizione, la parola d'ordine è una citazione di Lucano e soprattutto la posta in gioco non è un potere contingente, materiale, ma il potere sulla storia. Il suo giallo, rigorosamente vero, è un fuoco di fila di autentiche scoperte filologiche, che portano a un'inedita ricostruzione storica e a una rivelazione metastorica. Non ne consegneremo al lettore la chiave, perché è davanti ai suoi occhi come la Lettera Rubata e perché questo libro, ardito, rigoroso e colto, va letto.