La letteratura greca: storia di topi e di naufragi
"Storia della letteratura greca" di Luciano Canfora
Articolo disponibile in PDF
Il cristianesimo, rivoluzionando la forma del libro nella trasmissione dei testi sacri, favorì la scomparsa di una quantità di capolavori della cultura pagana copiati in forma di rotolo anziché di codice. In seguito le crociate rovinose e incolte favorirono la distrazione o l'abbandono del patrimonio librario ancora conservato nelle grandi biblioteche dell'impero bizantino. Difficilmente potremo accertare, ha scritto Paul Maas, "quando e dove sia stato roso dai topi l'ultimo manoscritto di Saffo o di Menandro". Eppure, "di tali avvenimenti è fatta la storia della perdita della letteratura greca". La storia della conservazione dei testi greci è dunque in realtà, come sosteneva già un filologo dell'Ottocento, Wilamowitz, una traversia di progressive e inesorabili perdite. Perdite o "selezioni", come scrive Luciano Canfora nella sua ponderosa, lucidissima Storia della letteratura greca, un vero evento non solo per gli studiosi ma per chiunque ami il genio degli antichi: da Omero a Polibio, da Plutarco a Libanio. La costituzione di un "canone" o "sillabo" dei classici da salvare fu anche legata al mutare, nei secoli e nei millenni, della destinazione, del pubblico e della concezione stessa della letteratura. Già ai tempi di Pericle Aristofane inaugurava il dissenso dei lette rati contestando i criteri di selezione preliminare che stabilivano cosa rappresentare o no sulla scena. Duemilacinquecento anni fa la politica culturale della prima città "democratica", Atene, era già succube delle inclinazioni del pubblico e soggetta al giudizio incompetente di funzionari preoccupati di assecondare le preferenze della maggioranza per poi influenzarla politicamente. In seguito, il canone classici da serbare, la scelta di cosa costituisse "tradizione" in occidente, fu determinato da altre esigenze, culturali, religiose, politi che, nei domini delle monarchie ellenisti che, della Roma autocratica dei cesari e infine della teocrazia bizantina. Fu paradossalmente quest'ultima ipostasi storica dello stato antico, apparentemente la più autoritaria, a osservare la massima pluralità e tolleranza nella conservazione dei testi antichi. Questo fu un risultato del cosiddetto cesaropapismo, che differenziava e opponeva Bisanzio alla Roma dei papi. L'élite ecclesiastica bizantina, estromessa dall'amministrazione del potere temporale, fu delegata a gestire l'egemonia intellettuale sui sudditi e investì le sue energie e risorse nell'amministra zione del potere culturale. La sconfitta politico-ecclesiastica di Fozio, autore molto amato e citato da Canfora, trovò compensazione in quell'arca di Noè di testi greci che fu, ed è, la sua Biblioteca. I topi che hanno roso e disperso la letteratura antica erano ancora tenuti a bada, a Bisanzio. D'altra parte, se il destino della letteratura greca è rappresentabile, in complesso, come un naufragio, la vicenda dello studio della letteratura greca è la storia di una frontiera in ampliamento e avanza mento continuo verso nuovi spazi. I grecisti sono pionieri le cui carovane sono partite al tempo dell'umanesimo e del Rinascimento, quando in Europa, alla vigilia della penetrazione turca, si presero a riscoprire i manoscritti salvati e traghettati in occidente dagli intellettuali bizantini in fuga. Se dapprima le storie della letteratura greca si fermavano alla conquista romana, nella seconda metà del Novecento la frontiera della grecistica si è spostata in avanti e ha incluso l'impero grecolatino e l'ellenismo. Ora, nella Storia di Canfora, entra a pieno diritto anche Bisanzio. Perché la storia della letteratura greca è inscindibile da quella della sua tradizione e conservazione, censura o attualizzazione. Se è vero che ogni storia, come pensava Croce, è storia del presente, la storia della letteratura greca non è mai finita.