Se il cinico Mérimée scrive a una sconosciuta
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Atene, 1907. Mentre gli amici esplorano l'Acropoli, Virginia Woolf passa ore e ore chiusa nella sua camera d'albergo, senza riuscire a staccarsi dalla lettura di uno strano libro francese, una serie di lettere che attraversa l'Ottocento dai primi anni del regno di Luigi Filippo alla caduta del Secondo Impero: le Lettere a una sconosciuta di Prosper Mérimée. Dimenticato da decenni, tuttora assente nelle librerie in Francia, oggi quel libro rivede la luce in un'edizione italiana curata da Giuseppe Scaraffia, che dedica all'autore una lunga postfazione. Mérimée era brutto, elegante e spiritoso, cinico e sentimentale. Fu un frequentatore di salotti, un viaggiatore, un antiquario e un efficiente burocrate nei ministeri della Francia postnapoleonica. Precocemente scettico sull'amore delle donne - «faccio l'amore senza amare né essere amato e mi annoio» - fu il più fedele degli amici, anche se Stendhal, suo intimo, dubitava di lui: «Non sono sicuro del suo affetto, ma lo sono del suo talento». Pochissimi in effetti riuscivano a penetrare la sarcastica impassibilità che Mérimée opponeva alla stupidità del mondo. Disincantato anche sulla gloria letteraria, aveva iniziato a pubblicare con uno pseudonimo femminile. Detestava ogni tipo di retorica. Il suo scopo, scrisse Taine, era «concentrare, abbreviare, riassumere la vita». Compose poche memorabili opere, tra cui la Carmen e alcuni celebri racconti. Nel mondo soffocante della Parigi mondana e letteraria era cominciato come uno scherzo lo scambio epistolare con la sconosciuta ventenne che nel 1831 gli aveva scritto per ottenere un suo autografo. Il suo nome era Jenny Dacquin. Mérimée si informò. Gliene parlarono come di un'esaltata intelligente e impulsiva, estremamente sentimentale. Ma le sue lettere erano scintillanti di spirito e autoironia e lo scrittore continuò la corrispondenza. Di lì a due anni, dopo essersi molto fatto pregare, acconsentì a incontrarla. Tuttavia, malgrado la reciproca attrazione, non diventarono amanti. Si protrasse invece lo scambio di lettere, dove Mérimée si liberava finalmente della sua maschera imperturbabile e scherzava, litigava, raccontava con una libertà infinita. Nelle righe delle Lettere a una sconosciuta Mérimée mescola tutto: i viaggi e i ricordi, i reumatismi e gli scandali politici, il linguaggio letterario e il gergo mondano, l'amicizia e l'amore. Ad Atene, nella sua camera d'albergo. Virginia Woolf con in mano il suo libro faceva bollire su un fornello da viaggio un pentolino di latte di capra. Ma il latte costantemente traboccava, tanto la scrittrice era immersa nella lettura di quelle lettere: le più belle dell'Ottocento.