Animali di tutto il mondo unitevi
L'odierna lotta per la liberazione dei «viventi non umani» fu anticipata da Plutarco
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L’emancipazione delle maggioranze oppresse, inaugurata dal movimento antischiavista nel XIX secolo, proseguita con quello femminista nel XX, non si concluderà se non quando, nel XXI, saranno liberati gli animali. Lo pensano i seguaci di Peter Singer, l'autore di Animai Liberation. Un movimento sempre più ampio, attivo soprattutto in area anglosassone ma ramificato attraverso i link della Rete, sta conducendo per i diritti dei viventi non umani una lotta acerrima, in parte clandestina, prima o poi destinata al successo. Dopo quella fra le razze e fra i sessi, la parità fra le specie è il traguardo etico del Terzo Millennio. Ma già il senso della giustizia degli antichi greci aveva decretato l'uguaglianza di diritti fra la specie umana e quella animale. Non è giusto che esseri dotati di ragione procurino dolore e morte ad altre vite pure provviste di ragione, anche se diversa o a un livello inferiore di sviluppo. Lo sosteneva già duemila anni fa Plutarco e lo ritroviamo oggi nel piccolo corpus animalista dei Moralia appena tradotto da Adelphi col titolo Del mangiare carne (introd. di Dario Del Como, trad. di Donatella Magini, 296 pp., £ 25.000): tre pamphlet contro il carnivorismo, la sopraffazione e lo sfruttamento degli animali, la violenza e l'arbitrarietà della caccia, ma soprattutto contro la hybris dei filosofi razionalisti espressa nella pretesa di Aristotele che gli animali esistano per l'uomo: «Quelli domestici perché ne faccia uso e si nutra di loro, quelli selvatici perché se ne nutra e tragga da loro altri profitti» (Politica 1, 8, 1256 b). Una pretesa su cui si baserà per due millenni l'antropocentrismo cristiano, alleandosi con la rivelazione della scrittura ebraica: «Paura e terrore di voi siano in tutte le creature del mondo: gli uccelli che volano nel cielo, e le bestie che vanno sulla terra, e i pesci del mare. Essi sono ora in vostro potere. Ogni animale che si muove e ha vita sarà il vostro cibo» (Genesi9,2-3).
Eppure Plutarco, perplesso e pietoso filosofo, sacerdote delfico, esitante e critico come ogni greco dinanzi alle consuetudini e ai dogmi, è certo che gli animali abbiano un linguaggio: «Crediamo che i suoni e le strida che emettono siano voci inarticolate, e invece sono preghiere, suppliche, richieste di giustizia». Ritiene che gli animali possiedano l'uso della ragione e le stesse qualità della mente umana, nonché doti morali ampiamente superiori: è l'argomento del dialogo in cui Odisseo è messo a confronto con uno dei suoi compagni tramutati da Circe in animali. Con saccenza sofistica e ironica competenza etologica, Gryllos sostiene l'inferiorità di Penelope a una cornacchia, quella di Odisseo a una scrofa, quella dei più famosi medici egiziani alle tartarughe e alle capre cretesi. Plutarco contesta che l'uso di mangiare carne abbia un'origine naturale. Che l'uomo non sia carnivoro, sostiene, è provato anzitutto dalla sua struttura fisica. Il corpo umano «non possiede becco ricurvo né artigli affilati né denti aguzzi: per la levigatezza dei denti, per le dimensioni ridotte della bocca, per la lingua molle e per la debolezza degli umori destinati alla digestione, la natura esclude la nostra disposizione a mangiare carne». Secondo Plutarco, il carnivorismo umano fu una parentesi buia dei primordi, quando l'uomo delle caverne non aveva ancora appreso le arti dell'agricoltura e si aggirava affamato in cerca di radici e cortecce. Ma da quando è disponibile ogni prodotto della terra, quell'impulso è diventato un empio lusso. L'intellettuale greco inorridisce dinanzi alle mense dei ricchi «che usano i cuochi come acconciatori di cadaveri». «La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti», protesta Cioran. «Il loro carnefice ha invaso il paesaggio. C'è posto solo per lui. Che orrore vedere un uomo dove si poteva contemplare un cavallo!». Intanto, nelle spiagge cementificate della penisola, echeggia il refrain di Sarcofagia, l'ultimo inno animalista di Franco Battiato, ispirato proprio a Plutarco: «Non è mostruoso desiderare di cibarsi / di un essere che ancora emette suoni?».